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Un antico sapore..

Creato il 08 dicembre 2011 da Illcox @illcox

Un antico sapore..

Anche quella volta era colpa mia. Se il vino non era a tavola era perché ero distratto. Se ero arrivato in ritardo era sicuramente perché non mi interessavano i suoi sforzi. Avevamo invitato gente a casa. Ci piaceva farlo, soprattutto durante il periodo di Natale. Lo spazio c’è e non manca nulla.

Questa casa ci piace la prendiamo. Costa un po’ tanto ma non importa: c’è da sacrificarsi per una decina di anni. Mi ricorda tanto quella della mia infanzia. Entrata piccola, cucina sulla destra, sulla sinistra il salone.

Ramona le ripeteva che se continuavo ancora così non era più il caso di convivere. Gaia le spiegava che avrebbe dato oro colato per avere un  uomo come me. Intanto la aiutavano a pelare le patate mentre in tv nulla le aggradava. In quel dato istante avevo varcato la soglia e scoperto che il mio largo anticipo non era molto ben visto. Il saluto strozzato di Ramona non era paragonabile a quello entusiastico di Gaia, né a quello trasparente di Francesca. Ero rimasto ancora un secondo di fronte alla porta senza parlare.

L’uomo dell’agenzia continuava ad esporci le grandi comodità che quella casa offriva. Ma noi eravamo assenti. La arredavamo con gli occhi e con le orecchie ascoltavamo i suoni della vita che attraversavano le pareti. Francesca si era girata verso di me in cerca dello stesso sapore, dello stesso stupore. La vedevo felice. Così lasciavo che la penna scrivesse il mio nome su un pezzo di carta che speravo non restasse tale.

Avevo permesso al giaccone di scivolare dalle mie spalle. Con un gesto deciso e non fulmineo lo avevo preso per il colletto con la mano destra e mi aiutavo con la sinistra ad appenderlo. Tentavo di mostrarmi il più normale possibile e incastravo la sciarpa nel guardaroba allo stesso modo. Provavo ad informarmi su come procedevano i preparativi, se sarebbero venuti tutti e se avessero avuto bisogno di una mano. Ma il gesto stizzito di Francesca aveva l’aria di essere più eloquente di una risposta. L’altra mi elencava chi non ci sarebbe stato e quello che stavano preparando specificando che non avevano bisogno di me. Velatamente mi diceva che era meglio se non restavo in quella stanza. Con tutta la calma del mondo mi spostavo verso la camera per mettermi qualcosa di più comodo e, dopo aver preso una bottiglia di birra e valutato le alternative, mi ero seduto nel salotto a guardare il nuovo spettacolo di quel comico ce mi piaceva tanto.

Tutto avrei pensato tranne che quella dannata stanza potesse trasformarsi in uno sgabuzzino. Nella mia mente avevo immaginato che poteva diventare una piccola palestra, la futura stanza dei miei figli, un secondo bagno. Già; ma lei diceva che la palestra era fuori a due passi, che i figli non li desiderava e che un solo bagno ci bastava. Dopo quasi cinque anni avevo l’impressione che ogni angolo portasse la firma di una mano femminile e che non c’era un posto per me. Cercavo di non darle disturbo alcuno, di non essere invadente. La cucina era il luogo che amava di più. Passava metà della giornata lì dentro. Io la spendevo in salotto e guardavo la televisione tenendo il volume basso per paura che si irritasse. Poi aveva da chiedermi  maggiori spazi e io pur di non ascoltarla prendevo le mie cose e fuggivo.

Dal suono del campanello avevo inteso che erano arrivati. Dopo i saluti generali gli uomini erano con me mentre le donne portavano avanti discorsi incomprensibili di fronte al caldo del camino. Francesca si era illuminata di felicità e risultava molto più gentile anche con me. La tavola era vestita del più bello e decoroso servizio di piatti che possedevamo ringraziando mia madre e le sue premure. Versai del vino rosso sulla tovaglia per errore. Non mi ero fatto la barba. Non le davo ragione. Poi improvvisamente aveva scelto che quello era il momento più opportuno per mostrarsi indignata nei miei confronti. Mi diceva che non ce la faceva più, che si sentiva in gabbia. Se la sua vita era paragonabile ad un inferno io ne avevo tutte le colpe. Mi sputava in faccia ingiurie contro mia madre e malediva il giorno in cui mi aveva incontrato. Urlava che non le dispiaceva se ora tutti ascoltavano e che, se fosse stato necessario, avrebbe fatto lo stesso anche fuori casa. Ramona, l’ipocrita, le suggeriva di calmarsi. Lei era scoppiata in lacrime e corsa nella camera da letto. Ero rimasto solo con i miei ospiti sbalorditi. Mi guardavano e si domandavano perché in tutto quel tempo mi ero limitato ad abbassare gli occhi, ad ascoltarla con attenzione. Dopo qualche minuto mi ero versato del vino nel bicchiere, prima vuoto. Francesca era tornata asciugandosi il viso.

Mai avrei voluto che l’amore della mia vita diventasse così. Ho sempre saputo che la gente cambia ma ero perfettamente consapevole che lei era mia. Ero sicuro che il suo profumo era per me, come la cena pronta in tavola, il mobile pulito, la camicia stirata, la carezza sospirata. Non so cosa sia accaduto. Forse la monotonia della vita ha inciso macchie amare sui nostri vestiti o forse la nostra non era davvero la storia più bella che ci sia potuta capitare. Eppure quel sapore nascosto in un antico bacio avrebbe potuto intricarsi al nuovo. Le giovani passioni non muoiono del tutto.

Erano andati tutti via mascherando la tristezza che quella serata aveva loro lasciato. Non ne parlavamo, non giudicavamo. Davamo un senso alla stanza senza esserci d’intralcio. Con coordinazione alzavamo le coperte e ci infilavamo nel letto. Io guardavo il centro del letto. Lei di schiena a me. Si era poi girata con irrequietezza per lasciarsi vedere e poter vedere. Sospirava nella paura che stessi già dormendo.

<< Perché quello che dico non ti tocca? >>.

Mi avvicinavo di più per poter sentire il suo respiro sul mio collo. Con la stessa dolcezza la spostavo verso di me e aggrovigliavo le mie gambe alle sue.

<< Io ti sento. Ti sento ora come ti sentivo prima. So che questa vita non è quella che sognavi. So che questa frana di uomo non è quello che ti aspettavi. Sono imbranato, assente, schivo, disdicevole. Ma ti chiedo di non smettere di amarmi. Non farlo perché anche se la tua giornata non è delle migliori saremo sempre io e te. Non ti sarò vicino tutto il giorno ma quando sarà finito tutto io sarò qui e ti farò caldo quando avrai freddo, ti cullerò quando sarai stanca, ti accarezzerò quando ti sentirai sola. Ma questo solo se tu mi accetterai, ti fiderai, mi vorrai. Io ho bisogno di te e ad ogni tua accusa non giudicherò mai. Se dopo una tua parola cattiva nei miei confronti io rispondessi non sarei un uomo onesto. Preferisco il silenzio per capire me, te. Preferisco il silenzio ad un mondo di rabbia. Voglio ascoltare le tue labbra. Sapere che ti sfogherai e che dopotutto resterai con me. E mi chiedo come fai. Come resisti con me. Cosa davvero ti piace di me. Ma sono consapevole che non sapresti rispondere. Io so perché sono qui: sei la mia vita ed è difficile privarsi. >>.

Le sue lacrime scendevano sul mio petto regalandomi un brivido. Lentamente alzava il viso per cercare il mio sguardo. Con una mano spostava il mio braccio per farsi spazio così da poter stringere il mio viso tra le mani e darmi un bacio. Le sue labbra si erano posate sulle mie quasi come se potessi rileggere in quel dato momento un vecchio sapore, un nuovo colore, un presente amore.


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