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Un autobus chiamato desiderio

Da Miwako
Scrivevo, solo due mesi fa, su un foglio di carta:
Sbattole palpebre.Unascia luminosa e ondivaga mi sgorga dagli occhi.Poisolo palline.Mirotolano via dalle ciglia una dopo l’altra, scintillanti, equidistanti,artificiali.Socchiudole labbra.Neesce una macchina.Poidue, poi tre, poi niente.Centinaiadi rami secchi mi spuntano dai capelli danzando nel vento di novembre.Iocon loro.Hole guance arrossate.Pervia del caldo, mi dico.Oforse per quel sole che muore là fuori, appoggiato esattamente tra i mieizigomi.Lemaniche di questa maglia sono sformate, troppo lunghe; diventano liquide e siconfondono con l’asfalto che corre via languido.Nuvoleincerte si addensano sopra le mie palpebre, sopra quelle di ognuno.Lapensilina dell’universo.Stiamotutti aspettando l’autobus.Anchechi è già salito da un pezzo, non ha mai smesso di aspettare.Fissoil mio riflesso tra i vetri umidi, lo guardo cambiare insieme al paesaggio, epenso che è così che mi sento.Mutevole,incerta, in transito.
Oggi, mi sento sempre mutevole, sempre in transito ma un po' meno incerta. Anzi, fuori dai denti, nero su bianco, ci sono giorni in cui mi sento un vulcano. E' bellissimo.

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