Magazine Diario personale

un banale post di bentornato in ufficio

Da Plus1gmt

La differenza più eclatante consiste nel fatto che quando sei in vacanza non senti le persone intorno a te elaborare e mettere in pratica quelle piccole tecniche di sopravvivenza esistenziale che poi, il giorno del rientro in ufficio, ti rendi conto che non ti sono mancate per nulla, soprattutto le tue che eri riuscito a stemperare lungo i tempi senza capo né coda della permanenza nella località di villeggiatura prescelta. Dev’essere questo il substrato di nevrosi che ci fa vivere così male, escrescenze invisibili a occhio nudo che calpestiamo camminando fiaccandoci i piedi e, conseguentemente l’umore. Acari voraci che abitano i nostri materassi e i nostri guanciali che inducono i pruriti che ci svegliano di colpo nel cuore della notte. Viviamo con un asset di microstrategie a cui ricorriamo in continuazione e di cui ci vergogniamo proprio quando siamo al mare con i nostri cari, o lungo i sentieri di montagna, o quando ci beiamo di un’opera d’arte vista fino ad allora solo nelle foto su Internet. Ci imbarazzano quando non servono perché siamo nudi quanto il prossimo, o in quattro gatti in spazi immensi, o immersi in una babele di lingue in mezzo a gente di tutto il mondo e il nostro blaterare neolatino è meno che incomprensibile. Così quando ricomponiamo i pezzi delle nostre vite e rientriamo nei nostri ruoli, vicino a chi non è ancora andato in ferie o è tornato già da un po’ ci rendiamo conto delle stranezze del genere umano, dell’impegno sovradimensionato proprio perché costante per ovviare a minuscole ansie da scansare come cacche di piccione. Cose di cui siamo riusciti a fare a meno perché se ne può fare a meno. Cose pratiche, superstizioni, atteggiamenti, parole, gesti e finzioni che siamo certi essere necessari per non lasciarci travolgere da quelle altrui. Oggi ne ho già rimesse in sesto un paio. Ottimizzare i tempi per non perdere il treno, evitare il barista ottimista in eccesso – è il suo lavoro – che sotto sotto mi induce il senso di colpa di non consumare cappuccio e brioche nel suo locale, resistere ai racconti di inutili viaggi a Las Vegas, concentrarmi su un romanzo radicalmente triste, camminare in strade prive di lavori pubblici per non provare sollievo di fronte a mestieri davvero faticosi, quando ho bisogno di pensare che il mio sia un calice amaro e che c’è tutto un anno davanti per mandarlo giù a piccoli sorsi.



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