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Un colloquio con Angelo Stano

Creato il 28 novembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Un colloquio con Angelo Stano In Evidenza Dylan Dog Angelo Stano

Nato a Santeramo (Bari) il 6 gennaio 1953, è uno dei più personali interpreti grafici di , di cui realizza il numero uno. Dopo il liceo artistico, si trasferisce a Milano. I suoi primi approcci fumettistici risalgono alla metà degli anni Settanta: conosce Camillo Conti, direttore de “L’Avventuroso”, e disegna la riduzione del romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna”. Nel 1977, collabora con la Casa editrice Dardo per la testata “Uomini e guerra”. Fino al 1983, realizza “Charlie Charleston” per “Corrier Boy”. Nel 1984, disegna “Viaggio a Matera”, pubblicato poi nel 1993 sugli albi “Indigo” della R&R Editrice. Nel 1985, conosce Tiziano Sclavi ed entra alla Bonelli nell’équipe che lavora a Dylan Dog, di cui realizza alcuni episodi e tutte le copertine a partire dal n. 42, sostituendo Claudio Villa. La frequentazione del mondo narrativo di Sclavi si estende anche alle copertine e alle illustrazioni di alcuni dei suoi libri. Nel 1993, Stano partecipa, con altri disegnatori, all’opera collettiva “I volti segreti di Tex” delle Edizioni d’Arte Lo Scarabeo, per le quali disegna anche “I Tarocchi dell’Incubo”. (1)

In occasione della presenza di Angelo Stano al Festival Le strade del Paesaggio, che si è tenuto a Cosenza dall’8 novembre al 1 dicembre 2013, abbiamo avuto la possibilità di rivolgere qualche domanda all’artista.

Sei diventato copertinista di Dylan Dog dal numero 42, ma sei legato al personaggio fin dal primo numero, L’alba dei morti viventi, di cui sei il disegnatore. Ti ricordi le sensazioni provate quando leggesti per la prima volta la sceneggiatura di Sclavi di questo numero?
 Sì, me le ricordo. Io ero in una fase in cui cercavo di fare qualcosa di diverso dal fumetto popolare, area in cui fino a quel momento si era concentrata la mia produzione. Quando mi proposero di leggere quella sceneggiatura ero scettico. Pensavo si trattasse di un horror facile di bassa lega. Quando lessi il testo, consigliatomi da un amico, rimasi impressionato dalla sua modernità: mancavano le didascalie [Ndr: il che genera una narrazione più fluida], era fitto di citazioni che spaziavano dal cinema di Romero alla letteratura horror, pieno di battute a impatto. Il personaggio, il contesto, il modo in cui lo stesso Tiziano Sclavi dipanava il filo narrativo e giostrava il tutto, mi fece capire che avevo per le mani qualcosa che non sarebbe passato inosservato. In quel periodo di decadenza del fumetto era qualcosa di innovativo: un’opera indirizzata a un pubblico lasciato fin ad allora da parte, a cui non era stato indirizzata nessuna proposta narrativa. Invece Dylan Dog era stato pensato anche come un’opera che cercava di mettere in luce il senso di inadeguatezza delle nuove generazione rispetto alla società.

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Tutte le paure che aveva questa generazione si riflettevano in una serie che si prendeva in giro da sola! Una serie che aveva tra i protagonisti un personaggio con le fattezze di Groucho Marx non poteva che essere pregna di uno humor dissacratorio e di un apparato altamente culturale, fino a quel momento assente. Qualcosa di veramente innovativo, anche se dal primo numero si poteva giudicare poco. Quello che avvenne successivamente ha precisato le caratteristiche di questo personaggio, al tempo inedito nel panorama editoriale italiano, tanto che nel giro di quattro anni superò Tex in termini di vendite. 

Che tipo di rapporto c’è tra te e l’indagatore dell’incubo?
Mi rispecchio, o forse mi rispecchiavo, molto nelle sue paure per la malattia mentale, nella sua frustrazione, nel suo senso di alienazione… La paura per i mostri della vita di oggi, come la burocrazia per esempio [Ndr: tema splendidamente trattato da Sclavi in Inferni, il numero 47 della serie regolare].
La dilagante stupidità, la mancanza di razionalità rispetto ai problemi della società moderna. Non la paura della morte, ma piuttosto la frustrazione rispetto al male di vivere è il punto fondamentale che unisce tutta una generazione, di cui faccio parte anche io. Il senso di inadeguatezza e i troppi lacci e lacciuoli che ci impone la società e ora, purtroppo, anche l’angoscia di un futuro sempre più incerto.
Poi, da un punto di vista grafico, è vero che ci sono posture di Dylan Dog che sono state studiate da Sclavi per unire i vari disegnatori, ma il suo modo teatrale di muoversi rispecchia un po’ me stesso. Un disegnatore è sempre in parte sceneggiatore, perché ne completa le indicazioni, e anche un po’ regista, un po’ attore nella narrazione.

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Copertina di Dylan Dog #327

Ci puoi raccontare come nascono le copertine di Dylan Dog? Leggi tutta la storia interamente disegnata prima di realizzarla o solo la sceneggiatura?
Non è possibile leggere la storia completa prima perché spesso è in fase di completamento. L’editor, che ha tutto sotto controllo, decide il tema della copertina da sviluppare. In poche righe mi viene raccontato l’episodio, viene proposta un’idea visiva accompagnata da qualche immagine della storia, faccio un bozzetto a matita che sottopongo alla redazione e, se approvato, passo alla realizzazione vera e propria.

Adesso è Roberto Recchioni l’editor?
Sì, ci sentiamo spesso. Ultimamente abbiamo deciso di cambiare l’impostazione delle copertine: dietro consiglio di Sclavi, ma concordandolo con tutto il team, abbiamo deciso di passare da un’impostazione pittorica a una più grafica, con tinte piatte e un riferimento all’arte pop degli anni ‘60 di Roy Lichtenstein e Andy Warhol, con l’inserimento dei tipici retini sgranati.

Che tecniche usi per realizzarle? Quanto e in che modo queste tecniche hanno subito un’evoluzione negli anni?
Le prime copertine erano disegnate in bianco e nero e la colorazione veniva proposta attraverso una fotocopia acquerellata al “fotolista”, che lo traduceva in retini meccanici. Infine, tutto veniva trasformato nel risultato che si vedeva su carta stampata. Questa era la prassi fino a una quindicina di anni fa. Dopodiché, con il computer, ho incominciato a fare io stesso la colorazione. Facevo il B/N, lo acquisivo digitalmente e poi su un livello separato, aggiungevo il colore al computer. Il passo successivo è stato la fusione del nero e del colore in un’illustrazione a mezzatinta. Fino a qualche mese fa ho lavorato così e adesso, come dicevo, siamo tornati a un’impostazione più prettamente grafica. Qui l’apporto dell’editor è determinante, perché mi fornisce anche materiale visivo e idee pescate qua e là, coerenti con il carattere di Dylan Dog, ma non necessariamente collegate all’episodio.

In una delle più recenti hai disegnato anche lo stesso Recchioni e Paola Barbato, altra sceneggiatrice della serie, oltre che te stesso.
Era una copertina con tanti volti. Dovendo disegnare oltre sessanta facce ho deciso di metterci dentro un omaggio ai miei colleghi.

Quando tempo impieghi per realizzare una copertina?
Dunque, in generale bastano tre giorni: uno per il bozzetto, poi, una volta approvato, un giorno o due per la realizzazione.

Qual è la storia di Dylan Dog da te realizzata a cui sei più legato e perché?
Storia di nessuno è una delle mie preferite, poi Morgana, il numero 25, ma anche, data l’importanza, il numero 1 della serie. Proprio in quella prima storia ho sperimentato la tecnica di inchiostrazione a tempera con sfumature secche, che ha caratterizzato il mio segno. Tecnica che invece non ho mai utilizzato sul Corrier Boy [Ndr: Storica rivista a fumetti che negli anni ’70 raccoglie il testimone del Corriere dei Piccoli] e sui fumetti di guerra realizzate per le Edizioni Dardo.

Sei stato l’unico autore di Dylan Dog a svolgere contemporaneamente il ruolo di copertinista, scrittore e disegnatore: quindi di autore unico. Come è stata l’esperienza?
Era già successo che un autore realizzasse sia i testi che i disegni di una storia di Dylan Dog; ad esempio Ambrosini. Ma, in questo caso, è vero, è compresa anche la copertina. Il numero 315 dal titolo La legione degli scheletri è stata ovviamente una storia che ho amato molto, perché mi ha consentito di misurarmi per la prima volta come autore completo.

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Il tuo amore per Egon Schiele è assolutamente dichiarato. Quando e come è nato?
Schiele è uno di quei pittori che è stato a lungo ignorato perché scambiato quasi per un allievo di Klimt. Quando studiavo arte, nell’enciclopedia dell’arte moderna della Fabbri, formata da quattordici volumi, c’erano solo due illustrazioni di Schiele, che colpirono la mia attenzione. Poi ci fu una mostra a New York che ne fece riscoprire la grandezza. Dal quel momento ho potuto vedere una serie infinita di suoi disegni, tutti molto interessanti, con una sintesi grafica molto vicina al fumetto. Un segno forte, vigoroso, usato come un bisturi, un’interpretazione molto moderna e inquadrature dal taglio cinematografico. Secondo me, avesse scelto di fare il disegnatore di fumetti, sarebbe stato un autore formidabile. C’è tutta una serie di artisti della Secessione viennese che hanno questo tratto comune, derivato dalla grafica liberty, ma che trova in Schiele e nei primi disegni di Kokoschka, una inclinazione verso il gotico. Questo stile è stato una folgorazione, assieme a quello generata dal lavoro di Hugo Pratt, che aveva una carattere più solare, vagamente post impressionista, e dal quale ho ricevuto un grande insegnamento. Ma è innegabile che proprio lo stile drammatico ed espressionistico di Schiele sembrava adatto a rappresentare una serie come Dylan Dog. Non è un caso che Tiziano Sclavi abbia scelto me per cominciare la serie.

Se potessi scegliere un personaggio, bonelliano o meno, di cui realizzare una storia quale sarebbe?
Avrei voluto disegnare Corto Maltese. Mi ero anche proposto per farlo; Patrizia Zanotti, che si occupava dei diritti delle opere prattiane, aveva visto i miei disegni e mi aveva risposto «Mi piacerebbe che continuasse ma non abbiamo sceneggiature di Hugo Pratt per Corto Maltese pronte. Lei conosce qualcuno che potrebbe realizzarle?». Io provai a tastare il terreno cercando qualcuno che le scrivesse, ma poi non se ne fece nulla.

Be’, quello che racconti è eccezionale. Avremmo potuto avere delle storie di Corto Maltese realizzate da te!
Io mi considero un figlio putativo di Pratt perché ho iniziato con lui a fare fumetto, guardandolo sul Corriere dei Piccoli. Il virus prattiano è stato importante quanto quello di Schiele. Subito dopo i miei numi tutelari sono Maestri come Di Gennaro, Battaglia, A. Breccia e Toppi.

Grazie ad Angelo Stano.

 Intervista effettuata l’8 novembre 2013

Note

  1. Tratto da www.sergiobonellieditore.it/news/angelo-stano/9338/Angelo-Stano.html [↩]

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