Il fumetto, sotto molti aspetti, vive sempre in modo diverso e “meno regolamentato” alcune caratteristiche proprie di altre arti. Uno degli esempi più lampanti è quello della critica, dove con questo termine si intende il lavoro di studio e analisi di un’opera, che sfocia in una recensione o in un pezzo informativo, scritto ma non solo.
Se per la narrativa, la saggistica, il cinema e le arti visive come pittura e scultura è perfettamente normale per il sentire comune che ci siano persone che di professione parlano in modo critico dei prodotti di questi settori, per il fumetto è invece una cosa molto meno ovvia: questo principalmente per una serie di pregiudizi duri a morire e per la nicchia culturale e di mercato che il fumetto rappresenta in Italia.
Succede così che, più che un mestiere vero e proprio, quello del critico fumettistico sia un hobby, e non a caso alcuni sostengono che la cultura del fumetto in Italia proceda soprattutto grazie al “volontariato” di persone che ne parlano, soprattutto in Rete, mossi solamente dalla propria passione.
Esistono però casi di persone che riescono ad occuparsi professionalmente di cultura fumettistica, scrivendo saggi o contribuendo con singoli articoli ad arricchire l’apparato editoriale di una testata o il sommario di una rivista dedicata.
Abbiamo fatto alcune domande a due diverse generazioni di “critici”, per avere un quadro quanto più vario della situazione.
Luca Boschi (classe 1956) è un nome che non ha bisogno di presentazioni: presente nell’ambiente dalla fine degli anni ’70, è molto conosciuto soprattutto dagli appassionati Disney per i suoi numerosi articoli nelle testate cosiddette “per collezionisti”; è esperto di fumetto comico e per ragazzi a tutto tondo, e il suo blog Cartoonist Globale (lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/) è tra i più noti.
Valerio Paccagnella è invece un giovane di 29 anni, che si è fatto conoscere da addetti ai lavori e appassionati Disney grazie alla sua presenza sul web, dove non ha mai mancato di pubblicare recensioni e commenti a quanto leggeva e vedeva con un approccio piuttosto serio alla materia, tanto da arrivare nell’ultimo anno a scrivere ufficialmente per testate Disney da edicola.
Un critico affermato e una nuova leva che ha arriva dal web: due diverse facce della stessa medaglia.
Luca, come hai iniziato a occuparti e a scrivere di fumetti?
Luca: A scrivere e disegnare fumetti ho cominciato precocemente quando frequentavo le scuole medie. Sui fumetti ho imparato a leggere a tre anni, in quinta elementare realizzavo albi a fumetti come quelli dei giovani fratelli Crumb (senza sapere chi fossero, naturalmente) e alle medie disegnavo con pennino e china in modo rudimentale, da assoluto autodidatta, spedendo a varie riviste di fumetti e case editrici i miei lavori. Ho imparato malamente a battere a macchina proprio per poter scrivere queste lettere agli editori, tacendo la mia età. Era la fine degli anni Sessanta e nel giro di un lustro mi hanno risposto in molti (ma mai Linus e Eureka). Su qualche rivista sono rimaste tracce del mio passaggio. Mi si trova su Humour, L’Avventuroso, Menelik, dove avevo partecipato al concorso per una striscia autoconclusiva che fu vinto da Giuliano Rossetti (ma una mia striscia entrò fra quelle degne di pubblicazione). Nel corso di questi carteggi, Gino Sansoni mi propose di disegnare dei “pornazzi” mandandomi come esempio da seguire una pagina di Cioci e Tato (parodia di Cochi e Renato), Nico Orengo dell’Einaudi mi face i complimenti per un lavoro a colori, onestamente niente male, alla Edward Leary. Ne spedii qualche pagina, che mi fu addirittura rispedita con la notizia, però, che la collana “Tantibambini” per la quale avevo progettato il lavoro era stata appena chiusa.
Poi mi sono iscritto al Liceo e ho rallentato l’attività, benché verso i 17 anni un libro molto particolare (di satira politica), La Comune di Dario Fo, mi abbia pubblicato.
A scrivere di fumetti ho cominciato molto più tardi, dopo l’uscita delle mie prime tre storie a fumetti su Il Mago di Mondadori, molto ben pagate per l’epoca, fine anni Settanta, alla vigilia della mia quasi inutile laurea. Al professore della tesi portai una copia de L’Urlo col mio primo articolo sul fumetto italiano. Era il 1979. Da allora non ho mai smesso.
Valerio, come hai iniziato a occuparti e a scrivere di fumetti e animazione?
Valerio: È bastato…evitare di smettere di occuparmene. Ricordo il fastidio che provavo alle scuole medie nel vedere come all’improvviso fumetti e animazione si trasformassero in materiale di cui vergognarsi. Non capivo perché accadesse, e per quale motivo non collimasse con ciò che vedevo a casa mia. In famiglia si respirava infatti un clima assai diverso, dato che i miei mi avevano cresciuto con buone letture: quando ero piccolissimo, mio padre, per farmi mangiare, mi raccontava una versione semplificata della Stella del Polo [1] ; mia zia era da sempre fissata con Carl Barks e Floyd Gottfredson. Insomma, loro in primis mi avevano trasmesso amore e rispetto per queste cose, per cui ho scelto di rimanere a bordo, di non fare come facevano tutti. Certo, una bella mano me l’ha data la Disney stessa, che proprio nell’età in cui ero più a rischio disinteresse mi è venuta incontro con quella meravigliosa “rete di sicurezza” che fu PK. Insomma, anziché abbandonare questo mondo, ci sono cresciuto dentro e col tempo ho acquisito una prospettiva delle cose più matura. E se ancora oggi provo un certo dispiacere nel vedere qualcuno che abbandona o rinnega la passione per il fumetto, penso che derivi da quel mio fastidio dei tempi delle scuole medie, e dagli insegnamenti di mio padre,che mi incoraggiava a completare gli album di figurine perché “nella vita bisogna sempre portare a compimento ciò che si inizia”.
Che cosa ti ha spinto a provare a scrivere di questi argomenti?
Valerio: Scrivere di queste cose è stata un’evoluzione tanto naturale quanto inaspettata. In realtà sin da quando ero piccolo ho sempre preferito disegnare, e pensavo che scrivere non facesse per me. Un giorno, ai tempi del liceo, in un compito in classe che consisteva nello scrivere una recensione…mi ritrovo un bel “2”. Infuriato, vado a lamentarmi dal professore (tra l’altro il mio preferito!) e lui mi dice che quella recensione non l’avevo certo scritta io, ma l’avevo sicuramente presa da qualche parte. Poi però al dunque, come per magia quel voto non ebbe alcuna ripercussione sulla media e svanì misteriosamente dalla mia pagella. Qualche anno dopo, col mio ingresso nel fatato mondo del web, mi ritrovai a dovermi per forza esprimere tramite la scrittura, con risultati anche buoni. E ancora oggi mi chiedo se in realtà quel ”diavolaccio” d’un prof non avesse in realtà capito tutto da subito, e stesse cercando di comunicarmi qualcosa!
Luca, in Italia non esiste una professione ben delineata per chi vuole trattare analiticamente il fumetto, al contrario di altre arti come cinema e letteratura: come mai?
Luca: Direi che anche per cinema e letteratura queste attività riguardano una ristrettissima élite.
Il fumetto non è stato mai considerato con serietà dagli altri media, né più in generale dalla cultura dominante della società italiana, almeno per i primi sessant’anni di vita dei comics. Quando poi si è cominciato a riscoprirli, i riflettori sono stati puntati tutti sulle riviste, per contrapporle beffardamente in positivo ai “fumettacci” popolari. Charlie Brown contro Capitan Miki, per dire. Perfino di Tex e di Diabolik non era cool scrivere o scrivere bene. Degli autori dell’Intrepido non parliamone proprio.
A quel punto, il processo di emarginazione per tanti personaggi e autori era stata completato. Al massimo, con la sua riscoperta come medium, il fumetto era studiato come fenomeno di interesse sociale, non già per i suoi valori narrativi e artistici.
Per fortuna ci sono state svariate eccezioni: critici della prima ora come Brunoro, Cuccolini, lo “stato maggiore” di quello che era allora l’A.N.A.F., e poi editori-critici come Rinaldo Traini, giornalisti di quotidiani come Renato Pallavicini… e quindi i colleghi della mia generazione, attivi all’inizio degli anni Ottanta. E quelli di poco più giovani, come Marco M. Lupoi, Luca Scatasta, Francesco Meo, gli “allora ragazzi” di Fumo di China.
Valerio, finora di che cosa hai scritto? Su quali testate?
Valerio: La prima cosa di cui mi sono occupato una volta in Disney è stata la rubrica “Oggi accadeva che…” sulla pagina Facebook di Topolino, in cui riportavo anniversari e date importanti per la storia della company, cose come l’inaugurazione di un parco, l’anniversario dell’uscita di un film animato o della creazione di un personaggio. Successivamente sono approdato alla carta stampata, collaborando stabilmente a Paperinik Appgrade, per cui curo a partire dal terzo numero la pagina introduttiva alle storie cult, una sorta di retrospettiva che mese dopo mese si ripropone di pubblicare cronologicamente le prime storie di Paperinik. A partire da quest’anno però sono sbarcato, non senza una certa soggezione, anche sulla testata ammiraglia, Topolino, per cui ho scritto alcuni articoli più lunghi. Grazie a Topolino ho potuto parlare di argomenti che mi stavano molto a cuore, realizzando articoli a tema cinematografico in cui prendevo in esame l’animazione disneyana e non solo. Ho scritto di Paperman, il corto WDAS vincitore dell’Oscar, del pixariano The Blue Umbrella, e ho firmato un reportage sulla nuova serie di corti prodotti dalla Disney Television. Ho inoltre realizzato un servizio sulla stagione cinematografica autunnale e un articolo di prossima pubblicazione in cui spiego nel dettaglio come è strutturato il Marvel Cinematic Universe. La cosa più impegnativa però è stata realizzare la Topopedia, una sorta di archivio di schede descrittive sull’intero cast di personaggi disneyani, che è stata inserita nel nuovissimo sito di Topolino.
Hai citato la Topopedia ((www.topolino.it/archivi/topi/)) che, pur non comparendo su carta, è comunque un punto focale del sito ufficiale di Topolino, dato che si pone come “bibbia” del corpus di personaggi disneyani. Vuoi parlarci di questa guida?
Valerio: Tutto comincia l’anno scorso, quando mi arriva l’incarico da Valentina De Poli di compilare una lista di personaggi Disney, annotando i rispettivi esordi, da utilizzare nell’ambito dei festeggiamenti per gli 80 anni di Topolino in Italia. Qualche mese dopo, in vista dell’uscita del numero 3000, mi viene chiesto di usare quella stessa lista come base per realizzare un’enciclopedia online dei personaggi Disney. Insomma, avrei dovuto realizzare una per una le schede descrittive di ogni personaggio, raccontandone la storia e definendo la loro personalità.
Ovviamente mi colse l’ansia da prestazione. Stiamo parlando dei personaggi più usati di sempre. Attraverso media differenti e paesi differenti, di loro sono state date nel corso di questo secolo le interpretazioni più svariate e divergenti. Che diritto aveva questo “pischello” di darne una definizione univoca? L’illuminazione mi è venuta leggendo la storia di Francesco Artibani Zio Paperone e l’Ultima Avventura, pubblicata in quel periodo. Era una storia che avevo definito “poligonale” [2] , perché metteva in scena personaggi tridimensionali, caratterizzati in modo credibile. Se avessi provato a ragionare negli stessi termini, provando a figurarmi Paperi e Topi come persone, prima ancora che come personaggi, sarebbe stato più facile “cucire insieme” in un unico profilo a tutto tondo le loro differenti sfaccettature. Questo stesso procedimento mi è stato utile anche per riuscire a trovare una ragione narrativa per alcuni personaggi minori, dal momento che, come avevo letto in un’intervista a Tito Faraci sulla genesi delle storie del commissariato, è proprio andando a scavare dietro le quinte che si possono trovare spunti inaspettati.
L’approccio “in universe” che Alessandro Sisti utilizzò per descrivere i personaggi nei fascicoli di Disney Parade DeAgostini è stato sicuramente una delle principali fonti d’ispirazione, ma dove necessario ho dovuto usare anche il procedimento opposto, andando sul tecnico, citando autori, storie e fatti storici. Spero di aver trovato il giusto equilibrio e di aver fatto un lavoro rispettoso, che possa fornire un punto di riferimento a chi volesse addentrarsi nei meandri di questa materia. Le schede sono state poi illustrate dal bravo Stefano Zanchi, mentre io attualmente sono al lavoro su numerose schede integrative, che dovrebbero fare contenti anche i fan di un certo papero mascherato…
Luca, essere un esperto di fumetto non vuol dire solo scriverne, ma anche essere “reclutato” dalle case editrici in veste di curatore e di selezionatore delle storie da proporre in determinate collane. Quanto è importante questo ruolo?
Luca: È il vero ruolo positivo del critico, secondo me. Quello che offre un senso alla sua attività. Una cosa è leggersi il libro o la storia di turno e commentarli, inquadrando il tutto in un contesto storico etc. etc. Altro è incidere direttamente sulle scelte editoriali e selezionare quei fumetti che il critico, munito di strumenti conoscitivi e di una sensibilità che non tutti possiedono, ritiene degni di attenzione. È un ruolo strettamente collegato al mercato e non, come alcuni direbbero (sposando un punto di vista che comunque non mi appartiene) un ruolo “parassitario”, rispetto ai fumetti prodotti o pubblicati.
Il fumetto italiano ha bisogno di una critica che lo segua e ne parli?
Luca: Certamente! Come quello di tutto il mondo, come tutte le forme di comunicazione espressiva.
A volte si sente dire che l’unico che può permettersi di fare critica degna di essere presa in considerazione è colui che sa realizzare quello di cui si parla, che sia scrivere, disegnare, fare musica, dirigere un film ecc. Cosa pensi al riguardo?
Luca: A volte è così, ma solo perché lo sceneggiatore o il disegnatore (o l’autore completo, o “unico”, come si dice preferibilmente oggi) può riuscire a comprendere meglio di altri le sfumature ricercate, le soluzioni grafiche e narrative immaginate… la difficoltà e la fatica che i fumettisti mettono in gioco nel loro. Ma è solo una questione di sensibilità, che può anche essere stata coltivata da chi non ha mai scritto o disegnato niente. Come in ogni cosa, non si può generalizzare. Ma è certo che il fumettista può essere un buon critico, non deve astenersi dall’esercitare questa attività in seguito al suo coinvolgimento in prima persona nel mestiere.
Continua…
Appuntamento a venerdi 8 novembre con la seconda e ultima parte.
Note:
- La famosa storia di Carl Barks Zio Paperone e la Stella del Polo, dove compare per la prima volta Doretta Doremì [↩]
- fonte: http://www.ilsollazzo.com/forum/viewtopic.php?f=32&t=3539&start=20#p44514 [↩]
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