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Un “critico fuor d’ordinanza” e il “divulgatore internauta”: intervista a Luca Boschi e Valerio Paccagnella – Parte 2

Creato il 12 novembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Un “critico fuor d’ordinanza” e il “divulgatore internauta”:  intervista a Luca Boschi e Valerio Paccagnella   Parte 2 Topolino Tana del Sollazzo Luca Boschi In Evidenza Disney Italia

La prima parte di questa “intervista doppia” ha permesso di riflettere sulla critica fumettistica in senso generale e ha messo in luce le esperienze di e Valerio Paccagnella.
La chiacchierata ora prosegue, andando a toccare temi come la critica ai tempi del web e l’influenza della critica su pubblico e addetti ai lavori, sempre nell’ambito della differenza generazionale dei due intervistati.

Luca, il vecchio adagio “L’importante è che se ne parli” rischia di essere pericoloso, specie ai tempi di internet in cui tutti hanno la possibilità di dire la loro: quanto l’autorità della critica fumettistica può essere minata da questo scenario?
Luca: Su internet si trova di tutto e quindi anche svariate stupidaggini, si scovano alcuni pollai, tanta tifoseria ottusa (come tutta la tifoseria, se l’acriticità ne è necessaria componente); il discorso non si può circoscrivere al fumetto.
Per me la rete è molto utile per fare delle scoperte, per approfondire argomenti che su carta non sarebbero ritenuti degni di attenzione… Per avere a disposizione tendenzialmente tutte le espressioni fumettistiche del presente e del passato… Per far sì che si influenzino a vicenda. Ampliando l’orizzonte conosciuto, il senso critico respira e il gusto si affina: sia quelli di un esperto che, molte volte, quelli di un “navigante per caso”. Nessuna minaccia viene dalla rete, se volevi una risposta secca su questo punto; anzi…

Un “critico fuor d’ordinanza” e il “divulgatore internauta”:  intervista a Luca Boschi e Valerio Paccagnella   Parte 2 Topolino Tana del Sollazzo Luca Boschi In Evidenza Disney Italia

Valerio, facendo un passo indietro, prima ancora che iniziassi a collaborare con Disney Italia il tuo nome e il tuo modo di scrivere di fumetto e animazione era noto ad alcuni addetti ai lavori grazie alle tue recensioni che comparivano online. Tra i vari forum e siti per cui scrivi, spicca sicuramente La Tana del Sollazzo per diversi motivi: vuoi parlarcene brevemente e spiegare il perché?
Valerio: La Tana del Sollazzo (www.ilsollazzo.com/forum) è un progetto web in cui ho sempre creduto. L’ho fondata nel 2005 assieme a Ivan D’Apice, per raccogliere i pezzi di quella che era stata la community di PK. Quel fumetto fu una rivoluzione in tutti i sensi, e diede il via ad un cambiamento epocale anche nel modo di intendere la passione per il fumetto e il dialogo con i lettori, che venivano incoraggiati dalle pagine della rivista a colonizzare un web ancora molto acerbo. Quando il fumetto venne chiuso, e questa realtà iniziò a sfaldarsi, ci fu il bisogno di capire in che direzione andare. PK ci aveva insegnato a guardare avanti, e quindi sentimmo l’esigenza di creare un punto d’incontro per espandere questa passione e portarla oltre i confini del fumetto Disney, abbracciando un po’ tutto il mondo delle arti mediatiche, senza precluderci nulla.
Otto anni dopo il Sollazzo resiste stabilmente nel web (www.ilsollazzo.com), come spazio in cui discutere di tutto in maniera serena e competente. Merito di una formula che attira soprattutto utenti con una prospettiva ampia sull’intero scenario mediatico, restii a cadere nei tipici errori dialettici di chi ha una visione parziale, troppo nostalgica e poco lucida delle proprie passioni. Con lo staff del Sollazzo, poi, si lavora benissimo, e questa comunanza d’intenti ha reso possibile nel corso degli anni costruire solide amicizie e varare iniziative e progetti di ogni tipo: recensioni, filmografie, tornei, interviste, i recenti editoriali e persino una sorta di retrospettiva enciclopedica curata da me dell’intero corpus animato disneyano. Infine non dimenticherei il nostro recente sbarco sui social network, con una pagina Facebook (https://www.facebook.com/LaTanaDelSollazzo) che si occupa non solo di dare le news, ma di linkare al pubblico i contenuti più succulenti del forum, con l’obiettivo di interconnettere anziché cannibalizzare le differenti anime del Sollazzo. Insomma, in questo progetto non solo ho messo tutto me stesso, ma traspare l’amore di alcune fra le persone migliori che abbia mai conosciuto.

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Che differenze ci sono nello scrivere quello che pensi di una certa opera sulla Tana del Sollazzo rispetto al farlo per la Disney?
Valerio: Scrivere per un sito o un forum indipendente e scrivere per una company con delle politiche editoriali ben precise sono cose diversissime. Si tratta di un medium differente che richiede un registro differente. Non si può certo indugiare troppo in tecnicismi perché bisogna capire che ci si sta rivolgendo a un vasto pubblico. Non per forza infantile, ma esteso anche alle famiglie e agli adulti, che magari non sono addentro a certe cose quanto lo siamo noi appassionati. Questo non significa però che i concetti vadano castrati. Credo molto nell’onestà intellettuale e nel dire le cose come stanno, per cui penso che tutto stia nel come porle. Non è facile, ma se riesci a trovare le parole giuste per riuscire a trasportare gli stessi contenuti da un medium all’altro, coinvolgendo più fasce di pubblico in un colpo solo, allora hai vinto. Il concetto di universalità è assolutamente centrale nella filosofia disneyana.

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Luca, nell’epoca di internet, quale ruolo e/o valore aggiunto hanno riviste cartacee come ad esempio Fumo di China e Scuola di Fumetto nella diffusione della cultura fumettistica?
Luca: Spero che esistano sempre! Certamente, sono bruciate dalla velocità con cui le news corrono sulla rete. Ma le riviste possono servire per approfondimenti, interviste, per affrontare temi di ampio respiro con la flemma tagliente della riflessione. La rete è molto spesso emotiva e di conseguenza fallace. Le riviste dovrebbero integrare lo scenario della pubblicistica fumettistica essendo più distaccate e “ordinative”. Ma tutti sogniamo ancora riviste che, oltre a pubblicare testi scritti “macchiati” da illustrazioni, siano antologie di fumetti con sapori decisi corredati da articoli di commento.

Perché le case editrici, salvo alcune significative eccezioni, prestano poca attenzione agli articoli che la critica scrive sui fumetti che pubblicano?
Luca: Prendo per buona la risposta implicita nella tua domanda che però non darei affatto per esatta; io conosco editori, e soprattutto autori, attentissimi a cosa si scrive di loro e pronti a sfoderare la sciabola quando non sono d’accordo coi critici o non si sentono ben “cucinati”. Sciabola che serve a tagliare la testa, intendo.
Ma prendendo per buona la tua affermazione, posso pensare che forse, siano positivi o no, i giudizi critici su un fumetto non contribuiscono a far vendere più o meno il prodotto che mettono in vendita. L’impatto di una qualsiasi recensione sul mercato è davvero scarso e così quello della presentazione di un libro in libreria o in fumetteria. In una buona fiera, invece, la conferenza di presentazione di un’opera può contribuire a vendere magari qualche decina di copie in più.

Valerio, quale ritieni che sia il ruolo e i compiti (tanto pratici quanto “filosofici”) di chi segue criticamente il mondo del fumetto e dell’animazione?
Valerio: Il “compito filosofico” ideale è di non cadere nelle solite trappole che tanto hanno fatto male alla reputazione degli appassionati, bensì cercare sempre di avere un approccio alle cose lucido, onesto e maturo. Che non vuol dire freddo, attenzione. La prima cosa da fare è ampliare le vedute, provare a scoprire e soprattutto accettare quello che va oltre il nostro specifico campo d’interesse. La seconda cosa è cercare di avere una valida prospettiva storica su quello che ci piace. Il web è pieno di fan nostalgici, incapaci di guardare avanti, ma anche di ragazzini interessati unicamente a stare sul pezzo, troppo distratti per guardarsi indietro. Sono approcci opposti e ugualmente sbagliati, da evitare assolutamente. La terza cosa è trovare un equilibrio tra le ragioni del cuore e quelle del soldo. Troppe volte ho assistito a scontri accesi tra fan idealisti che inneggiano all’arte per l’arte e addetti ai lavori desiderosi di difendere le loro posizioni facendo capire che si tratta unicamente di business. E avevano torto entrambi, perché è dall’alba dei tempi che l’arte è un business, per cui i due concetti possono procedere di pari passo se li si combina con adeguata capacità.
Se nello specifico ci si occupa di Disney, aggiungo che è molto importante cercare di avere una visione omogenea di quello che la company offre. Limitarsi al solo fumetto, ignorando i capolavori animati dai quali tutto è scaturito, offre una prospettiva del tutto falsata. E di certo non è giusto neanche fare l’inverso.

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I critici fumettistici di domani passano prima dal web?
Valerio: Ovviamente sì, non penso che ci sia il minimo dubbio a riguardo. E non lo dico per portare acqua al mio mulino, ma perché di fatto è così. Qualsiasi cosa a questo mondo riesca ad appassionare abbastanza da diventare una professione appetibile ormai passa attraverso il web. E a volte è il web stesso la meta. Leggo spesso di addetti ai lavori che guardano con sospetto a questo ambiente, prendendosela con forum, blog e social network. La cosa buffa è che queste stilettate partono da… forum, blog e social network. Direi che è meglio lasciar perdere, che tanto nel ribollente calderone globale ci stiamo sguazzando tutti. Magari sarebbe più costruttivo fare qualche bel corso di “nuoto” che ci aiuti a perfezionare la netiquette, rendendola a prova di futuro. Prima ancora di lamentarci del web, pensiamo a fare del buon web.

Cosa porta (sia di positivo che di negativo) l’esperienza della scrittura “indipendente” su forum e blog alla persona che poi si trova a scrivere di fumetto per una casa editrice?
Valerio: Di sicuro porta esperienza. Come dicevo prima, a furia di scrivere post sui forum, si impara anche a scrivere meglio in generale. A forza di discutere si impara come scrivere in modo tale da far passare le proprie opinioni in maniera chiara e inequivocabile. Di negativo… be’, in alcuni casi ci sono i pregiudizi, che a volte alcuni addetti ai lavori poco lungimiranti possono avere nei confronti di chi viene dal web. Gli atteggiamenti di sufficienza che spettano a chi viene visto come nerd, troppo appassionato, o incapace di calarsi in una seria realtà lavorativa, sono purtroppo una realtà. La verità è che un forum è come un bar, e chi legge una discussione è tenuto a distinguere, come del resto farebbe se fosse in un bar vero, lo zoticone rumoroso con la barba sporca di birra dal ragazzo che invece ce la sta mettendo tutta per emergere. Dal vivo è facile perché lì hai lì davanti, ma sul web viene chiaramente da fare di tutta l’erba un fascio. Fortunatamente io non ho avuto problemi, e da quando collaboro con la Disney ho sempre lavorato in uno scenario di reciproca stima, trovandomi completamente a mio agio.

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Luca, negli anni ’90 tu, insieme ad Alberto Becattini e a Lidia Cannatella, avevate saputo creare sul mensile Zio Paperone un fenomeno interessante, secondo il quale l’interesse dell’acquirente si divideva al 50% tra le storie pubblicate e gli articoli di introduzione che firmavate voi tre. Dove stava l’alchimia a quei tempi?
Luca: Stava nella miscela alla quale hai accennato. Nell’incaponimento, di Alberto e mio, nel presentare autori sottovalutati o sconosciuti, nella disponibilità di Lidia (che era la nostra controparte Disney, mentre noi siamo sempre stati free lance) ad appoggiare questa progettualità difendendola anche nei confronti di altre figure editoriali che trovavano assurdi troppi redazionali, sostenendo che “i lettori comprano le riviste per le storie, non per gli articoli”. È chiaro che le cose stavano in modo diverso; l’aveva capito l’allora Presidente della Disney-Italia Umberto Virri, col quale ho condiviso varie esperienze (mostre, conferenze…), che appoggiò la nostra linea. Ricordo il discorso che fece pubblicamente a un meeting internazionale dei collaboratori, presentando il secondo numero dei Maestri Disney, dedicato a Paul Murry. La visione “tutti fumetti, via gli articoli” era ferma almeno agli anni Ottanta, l’epoca in cui le riviste erano già nella loro parabola agonizzante. Con la ripresa editoriale del settore, dovuta all’ingresso sul mercato di materiali statunitensi e di manga, con la creazione di testate italiane come Dylan Dog, Nathan Never o Lazarus Ledd, il pubblico era decisamente cambiato e in modo molto veloce.
Considero una testata di svolta l’indimenticabile Star Magazine dei primi anni Novanta. L’appassionato di supereroi ci trovava tutto ciò che desiderava: interviste, schede su autori e storie, lettere e risposte, in un rapporto sintonico con la pubblicazione che adesso è irriproducibile, dato che i dialoghi si svolgono in modo rapido tramite e-mail, forum, social network. Ma allora, ancora per un po’, anche oltre la fine del decennio Novanta, carta e penna suggellavano il legame fra lettore esigente e pubblicazioni. Zio Paperone, con tutte le dovute differenze, portava in Disney questo modello vincente di Star Magazine. Ha funzionato, riuscendo a reclutare lettori giovani, che adesso non sono più tali, ma continuano comunque a seguire i fumetti Disney e ad acquistare le pubblicazioni che si sfornano oggi.

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Dopo tutte le collane uscite negli ultimi 2 decenni, popolari e da libreria che fossero, c’è ancora qualcosa di nuovo e interessante da dire sul fumetto Disney?
Luca: Certo! Nonché, più in generale, sul fumetto comico italiano e non, gestito spesso da autori che hanno lavorato anche su fumetti Disney. C’è da dire, da riscoprire, da stimolare, da raccogliere, da proporre. Il mondo Disney, estremamente composito, è sempre effervescente e suscita sorprese in continuazione. Negli ultimi anni, in Italia, sono stati del tutto assenti alcuni interessanti disegnatori in forza alla Egmont di Copenhagen, per esempio. La punta di diamante, a mio avviso, è Kari Korhonen (dati per scontati gli ottimi César Ferioli, Wanda Gattino e altri che sono stati parzialmente pubblicati in Italia). Anche lo spagnolo Jose Ramon Bernadò e i fratelli Mau e Bas Heymans, per fare altri esempi, meriterebbero approfondimenti e credo che potrebbero incontrare i gusti del pubblico italiano. Taccio su alcuni autori italiani che “segretamente” (si fa per dire) seguo nelle loro tappe, e che considero dei veri Maestri, pur essendo abbastanza giovani.

Come è cambiato il tuo mestiere di critico dagli scorsi decenni ad oggi?
Luca: Non è cambiato come metodologia, ma solo come spazi. Dal 2007, con “Sole 24 Ore” tengo il blog Cartoonist Globale (http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/) e fra poco ne gestirò un altro, alternativo a questo che sta perdendo colpi, pur essendo molto seguito. Nel mese di settembre appena passato è stato quinto nella classifica del suo settore. Così, negli ultimi anni scrivere brandelli di informazioni e ricerche, fettine di critica e briciole di analisi è diventato ancor più un esercizio quotidiano obbligato, dato che ogni giorno invio in rete almeno un post.
Per il resto, per quanto mi riguarda il tempo della “critica” (in realtà di un’attività divulgativa della quale la critica è una piccola componente) ne ha mangiato molto alla creazione di storie e ancor più al disegno, che pratico solo marginalmente, purtroppo per me. Non per i lettori, credo, che forse sono sollevati da questa mia presenza di fumettista del tutto latitante.

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Valerio, prima accennavo all’animazione, perché spiccano alcuni tuoi articoli su Topolino dedicati a cortometraggi e mediometraggi Disney e Pixar, che non rinunciano ad essere dettagliati, pur rimanendo fruibili e interessanti anche dai giovani lettori. Qual è l’approccio che usi per mantenere il giusto equilibrio?
Valerio: Come dicevo prima, l’obiettivo primario è trovare le parole giuste per riuscire a contrabbandare determinati concetti presso il vasto pubblico. La chiarezza è fondamentale, ma per ottenerla è necessario svuotare la mente e provare a ragionare in termini elementari. Per prima cosa si visualizza il concetto complesso che si vuole esprimere, poi si procede per sottrazione, ripulendolo dalle sbavature; una volta che lo si è ridotto a un semplice schema, è pronto per essere esposto, con le necessarie infiorettature. Poi ci sono dei trucchetti: se devo esporre un concetto un po’ “scomodo”, alzo di colpo il registro in modo da dargli un aria impersonale, se invece è un complesso tecnicismo uso termini briosi e allegri, e di solito la faccio franca.
Il mio battesimo del fuoco in tal senso è stato l’articolo su Paperman, il primo che ho scritto per il settimanale. Su Topolino non si usava parlare granché di animazione, e di sicuro non di cortometraggi. Mi ritrovai così a dovermi inventare un modo per spiegare l’importanza del corto, la poesia della trama e l’estrema complessità del software usato per creare la tecnica utilizzata, un ibrido di 2D e CGI in grado di rivoluzionare il panorama cinematografico. Come se non bastasse mi misi a spiegare chi fossero i realizzatori, dal momento che i Walt Disney Animation Studios, a dispetto della loro importanza, sono sempre stati comunemente confusi con il nome dell’azienda a cui appartengono.
Insomma una faticaccia, ma spero di aver condotto la barca in porto senza troppi scivoloni. Il merito di questo però va soprattutto a Valentina De Poli che ha alzato l’asticella del settimanale, rendendolo in grado di proporre contenuti di questo tipo.

La conoscenza e l’esperienza che possiede chi studia il fumetto possono essere prese come punto di riferimento dagli autori attualmente al lavoro?
Valerio: Uh, è una sottile strategia per farmi dire qualche spacconata? Guarda, io la penso così: la prima caratteristica che un autore che si rispetti dovrebbe avere è la voglia di narrare qualcosa, di intrattenere il pubblico con i propri contenuti. E questa è una regola generale che trascende Disney e il fumetto tutto. Senza di questo non abbiamo intrattenimento, arte, business e qualsiasi altro discorso viene meno.
Poi, chiaramente, se parliamo di un autore che lavora all’interno di una tradizione consolidata come quella Disney, allora penso che sia idealmente tenuto a rispettarla e ad amarla, questa tradizione, e che per far questo sia sicuramente necessario conoscerla. Per cui penso che la “critica” possa, sì, influenzare positivamente l’autore, ma non attraverso lo sterile nozionismo, bensì trasmettendogli un determinato spirito, che possa aiutarlo a migliorare la propria visione e ispirarlo a muoversi nella giusta direzione.

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Noti segni di continuità o di discontinuità nella critica fumettistica disneyana attuale con quella del passato?
Valerio: Non so cosa si intenda per critica fumettistica disneyana, perché mi risulta che di fatto non ne esista ufficialmente una. Se stiamo parlando di chi scrive introduzioni sui periodici Disney, parlerei piuttosto di divulgazione. E in questo campo non mi risulta che ci siano ancora segnali di avvicendamento poiché mostri sacri come Luca Boschi, Alberto Becattini e Lidia Cannatella sono ancora ben presenti, e per fortuna, data la loro immensa professionalità. Di fronte all’immenso Luca io con la mia manciata di articoletti sono ancora un microbo, per cui confronti nella situazione attuale non sarebbe giusto farne. Posso però provare a immaginare la direzione che dovrà per forza di cose prendere questo settore in futuro per continuare ad essere efficace, dal momento che tutto inevitabilmente tende ad evolversi.
Decennio dopo decennio, la prospettiva si amplia e, aggiornandosi di continuo, ciò che un tempo poteva sembrare importante citare, poi lo diventa meno, e magari saltano fuori altri aspetti che invece diventa necessario sottolineare.
Il fine ultimo di chi scriverà le introduzioni del futuro però non deve cambiare. La divulgazione non dovrà mai essere fine a sé stessa, ma fatta nell’ottica di alimentare l’amore. Con alle spalle un secolo di capolavori che hanno scritto la storia dell’intrattenimento familiare, l’eredità Disney è qualcosa di veramente prezioso. Insegniamo al pubblico come amarla.

Luca, pensi che la critica fumettistica in Italia potrebbe avere una sua vita senza tutte quelle persone che scrivono di fumetto solo spinti dalla loro passione, soprattutto su internet? Quanto la “fiammella” della critica rimane accesa grazie ai “volontari della critica”?
Luca: No, non potrebbe. In altri Paesi forse le cose stanno diversamente. Tutto sommato non concepisco lo stato di “critico puro”, non ne ritengo nemmeno troppo utile la funzione (parlo per me e il mio posto, non generalizzo sui colleghi che hanno altre opinioni e hanno fatto altre scelte). Prediligo la figura di “critico organico”, quello che con la sua attività pratica cerca di migliorare un po’ l’offerta dell’edicola e della libreria. Si mette al servizio di autori e personaggi, cercando di portarli all’attenzione più generale e magari rivalutarli se sono trascurati. Le critiche in senso stretto, che potrebbero anche tradursi come “stroncature”, non sono affatto il cuore del mio lavoro. Non avrei difficoltà tecnica a occuparmene, ma c’è già chi lo fa; preferisco usare il tempo e i neuroni per attività più immediatamente finalizzate all’uscita di libri e di albi, o alla divulgazione del fumetto e dell’illustrazione con mostre e iniziative varie.

In sostanza, cosa significa fare critica collegata al fumetto? E che differenza c’è tra critica, filologia e storiografia applicate al fumetto?
Luca: Ogni tua domanda richiederebbe un tempo di ponderazione lungo e delle risposte articolate; ma preferisco chiacchierare con te e Valerio al bar come stiamo facendo, senza la pretesa di rivelare chissà quale verità. Per me la filologia e la storiografia sono l’asse portante dell’attività critica. A me preme più fare delle scoperte e portare alla luce informazioni ignote, che esercitarmi applicando al fumetto degli strumenti di analisi mutuati da altre discipline. Ma questo mio approccio è forse minoritario. Da alcuni operatori del settore non sono nemmeno considerato un critico vero e proprio. I nomi invitati ai (rari) consessi di critica sono altri, docenti muniti di curricula universitari che certifichino l’affilatezza dei loro bisturi per aggredire al meglio la materia. A me le elucubrazioni dalla cattedra appartengono marginalmente; preferisco razzolare fra la carta che rischia di sbriciolarsi, nell’illusione di rivitalizzarla. Sono “un critico fuor d’ordinanza”: se questa intervista avesse un titolo, questo mi si adatterebbe bene.

Ringrazio Luca Boschie Valerio Paccagnella per la simpatia e la disponibilità con cui hanno accettato di rispondere alle mie domande.

Intervista condotta via mail a ottobre 2013.

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