«O stand, stand at the windowAs the tears scald and start;You shall love your crooked neighbourWith your crooked heart».W.H. Auden, “As I Walked Out One Evening”.
Lucas pensava di essere un dritto. E invece no, è uno storto, uno che, non riuscendo a sopportare tutto il peso della letteratura, si piega come un giunco. Pensante, va da sé. Ma in che senso “peso” della letteratura? Un peso ermeneutico, semiotico...? Macché, magari egli potesse vivere la letteratura secondo un'istanza critica.Lucas è affetto da qualcosa di simile al bovarismo, solo non si lascia incantare da eroi ed eroine, ma dalle parole.Le parole lo attraversano, parole che diventano cosenell'attimo stesso in cui le pronuncia. E di ogni parola così vissuta si sente responsabile, come della propria faccia. Prendi la parola amore per esempio, detta cento volte a caso (o al vento...), mille volte per prenderla in giro, un milione per rimpiangerla. Poi càpita di dirla una volta sola, in un preciso momento – ed ecco che essa lo attraversa come un raggio ciclonico e lo trasforma. Niente è più come prima, pur non essendo cambiato niente. La realtà è la stessa, ma gli occhi la guardano in modo diverso. E il pericolo è che questa diversità sovverta quel minimo di ordine costituito, quei piccoli punti riferimento che rendevano la vita comoda, della serie uno si alza e sa esattamente quali gesti compiere, in maniera automatica, rassicurante. Ma le parole non rassicurano, scombussolano, cominciano ad agire come farmaci dentro al corpo, o – per usare una similitudine invalsa – come palline da flipper tra stomaco e cervello. Insomma, le parole agiscono sul sistema nervoso centrale e Lucas si sente tutto scosso, come un cavallo in corsa al palio di Siena che gira a tondo e non gliene frega un cazzo di arrivare primo. “Che ci faccio io con tutta queste gente qua fuori?” Hanno ammazzato