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Un dittico poetico di Emanuele Marcuccio ed Ilaria Celestini su Oreste ed Elettra
Creato il 17 luglio 2014 da Lorenzo127Oreste ad Elettra DI EMANUELE MARCUCCIO Oh, quale dolore provasti per la tua triste sorte, reietta, percossa, disprezzata! Ma ora, felicità insperata giunge alle tue pupille stanche: tuo fratel, creduto morto, è giunto alfin a liberarti, ad abbracciarti, a rimirarti, dolce sorella; quanto hai sofferto, che aspra guerra, a qual battaglia fosti risoluta, non vacillasti! Come montagna che giammai trema sotto le sferze del ciclone, come cascata, che vasta erompe precipite, non t’arrestasti! Eri pronta anche a morir, triste misera, cara sorella, erano pronti a seppellirti viva, pur di serrarti la bocca, quella bocca, che nacque ad indorare baci, una volta sposa, a sì nero ufficio fu deputata: casta fanciulla, ambra di rose, non soffrir più, riposa sul mio cuor, non soffrir più, non soffrir più! «Possiamo considerare la figura di Elettra come il mito archetipico di ogni donna sottoposta ad ogni genere di violenza. Cosicché, l’unica arma di difesa che ha la donna per sfuggire alla violenza è l’istruzione e, conseguentemente, i libri, quelli degni di questo nome e fonti di cultura per eccellenza. Senza istruzione e quindi, senza libri, la donna sarebbe vittima di ogni genere di violenza, più di quanta già ne subisce oggigiorno. Similmente possiamo considerare Oreste come il mito archetipico di ogni difensore delle donne, ma solo per difendere e confortare Elettra. Purtroppo, molti sono gli Egisto e pochi gli Oreste.» Emanuele Marcuccio Commento critico di Luciano Domenighini Due angolazioni, due toni, due climi poetici, a svolgere il tema della violenza e dell’abuso, a raccontare il dolore della donna prevaricata e umiliata. Da un lato Emanuele Marcuccio con un suo testo giovanile ispirato ai classici greci, narrante e araldico, tutto compreso di impeto oratorio, lungo quel registro “epico-patetico” di enfatica pietas, esclamativo e rutilante, molto battuto negli anni giovanili ma ricorrente anche nella sua opera poetica successiva. Dall’altro il limpido e affettuoso dettato poetico di Ilaria Celestini, coi suoi colori innocenti e la grazia sorgiva, le floreali fragranze e le speranze vaghe, che s’imbattono e confliggono nella brutalità del possesso fisico, nell’arroganza della sopraffazione, nell’orrida e amara ritualità della libidine cieca e predatoria. Un’eroina archetipica della grande tradizione classica e un’anonima e fragile martire della cronaca contemporanea, entrambe testimoni e giudici di un abominio antico, cantate in due modi e in due stili ben distinti nei versi del poeta palermitano e della poetessa bresciana, sono le protagoniste di questo dittico poetico, a un tempo invettiva e denuncia costituendo un binomio di grande forza espressiva e di rara suggestione. Luciano Domenighini Travagliato (BS), 15 luglio 2014
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