Roma, dal corrispondente
Parigi non è sola. Non è sola perché il mondo le si è stretto attorno in segno di amicizia e fratellanza e non può dirsi sola, purtroppo, neanche nella tragedia che l’ha colpita.
Durante i giorni di maggior commozione che hanno visto per le vie della capitale francese sfilare due milioni di persone, Boko Haram nel nord-est della Nigeria continuava il massacro della popolazione civile. Tra raid e bambine usate come pacchi bomba, il numero delle vittime sembra superi le 2000 unità. Gli attacchi si stanno intensificando con l’approssimarsi delle elezioni (14 febbraio) e, in vista dell’appuntamento, anche i metodi si fanno più efferati. Ma dallo Yemen alla Siria passando per la Turchia e il Pakistan, sarebbero molti gli attentati da registrare nel solo mese di dicembre.
Se l’Islam è una minaccia, lo è principalmente per i proprio fedeli.
Ma se così fosse, cosa fare? Come qualcuno ha giustamente detto, il vecchio continente non può diventare una fortezza inespugnabile e l’ipotesi di rivedere Schengen darebbe la percezione che a morire non siano state solo le vittime di Parigi, ma un po’ tutto il concetto di Europa. E proprio la Francia, con la sua Rivoluzione, ha mostrato che indietro non si torna.
Nel frattempo in molti si sgolano – giustamente – dicendo che il mondo islamico non è con i terroristi e che l’Islam è pace, ma ciò non può oscurare un fatto altrettanto ovvio e cioè che un problema nella società musulmana esiste.
La retorica antioccidentale è un leitmotiv in tutti gli ambienti estremisti che abitano ogni paese arabo, e che sia a causa del passato coloniale o dei vari interventi armati degli ultimi 15 anni, poco importa. L’aspetto più preoccupante è il fascino che queste ideologie hanno su alcuni pseudo-fedeli sparsi per il mondo.
Intervenire in tal senso, togliendo ossigeno a queste voci, è la prima azione necessaria, che passa anche per un ripensamento dei rapporti con determinati paesi del mondo arabo. Arabia Saudita e Qatar in primis. Finanziano moschee in giro per il mondo esportando un Islam chiuso e retrogrado e contemporaneamente si addolorato dopo ogni strage causata proprio da quelle stesse interpretazioni. Aderiscono alla lotta al terrorismo da una parte e dall’altra hanno evidenti connivenze con gli stessi jihadisti che combattono. E il tutto senza che nessuno sollevi il problema¹.
Ma questo non basta. Dall’interno le stesse comunità hanno il dovere di tenere alta l’attenzione attorno ad un problema che offende per primo Allah e che danneggia tutti i fedeli. Alla lunga, qualora dovessero continuare attacchi dl genere, sarebbe difficile contenere la rabbia di “ritorno” che già adesso ha provocato più di qualche episodio.
Un’ideologia contorta, inoltre, trova ambiente fecondo in cui proliferare laddove la disuguaglianza sociale e la frustrazione abbondano; ambienti degradati e tenuti ai margini delle nostre società sono come stagni di acqua stantia in un villaggio turistico. È la percezione di non avere una scelta ad una vita da invisibili che rende il jihad attraente, non la reale convinzione di chissà quale futuro da martire. Essere qualcuno per pochi istanti piuttosto che nessuno per una vita.
Una politica di integrazione più presente, con azioni mirate, deve relegare chi professa odio a parlare da solo davanti ad un muro. Proporre un’alternativa è l’antidoto all’estremismo.
¹ La sola Norvegia che nel 2010 respinse le donazioni perché :“Sarebbe paradossale e insensato accettare dei fondi provenienti da un paese che considera un crimine formare una comunità cristiana»; sempre la Norvegia ha recentemente posto l’attenzione sul fatto che: “È un paradosso che i paesi che non supportano i diritti umani fondamentali abbiano influenza sul consiglio“ , in merito alla richiesta che alcuni paesi arabi hanno avanzato all’ONU per impedire al paese nord europeo qualsiasi tipo di critica al Profeta accusandolo di non rispettare i diritti umani.
Luca Arleo