Era il 12 giugno 2009 quando il leader della Libia Moammar Gheddafi faceva attendere tutti i deputati italiani per circa due ore prima che l’allora Presidente della Camera Gianfranco Fini decidesse di annullare la visita.
Il colonnello Gheddafi ritardò a causa della preghiera del venerdì e si scusò con D’Alema e Pisanu che andarono a fargli visita nella sua tenda montata a Villa Pamphili. Berlusconi andò con grande riverenza alle 23.00, un’ora alquanto bizzarra per una visita.
Gheddafi non risparmiò nessuno e incontrò anche la Marcegaglia, presidente di turno di Confindustria, che parlò di svolta nelle relazioni tra Italia e Libia. Un clima sereno, disteso e cordiale di una classe dirigente democratica, di fronte ad un dittatore al potere da 40 anni nella pacifica ex colonia italiana.
L’ 11 marzo 2011, poco più di un anno e mezzo dopo, il regime del colonnello fu bombardato a seguito di una no-fly zone autorizzata dall’ONU e resa esecutiva dai paesi NATO. Furono a favore della risoluzione anche gli stessi D’Alema, Pisanu e Berlusconi
Il colonnello Gheddafi morì l’11 ottobre di quell’anno ad opera dei futuri capi della Libia, il Consiglio di Transizione Nazionale appoggiato dalle Nazioni Unite compresa l’Italia. Nessuna cordialità o segno di reverenza per la sua tragica morte. Doveva parlare alla Camera dei Deputati italiana poco meno di due anni e mezzo prima, ma è stato rimosso senza gloria e senza onore.
Tutta la fiducia fu riposta dall’Italia come da altrove nel Pianeta sul Consiglio di Transizione Nazionale (CTN). Riconosciuto dall’ONU, popolare in patria e ampiamente finanziato dalle rimesse dovute al petrolio (il 97% delle entrate dello Stato libico viene dallo sfruttamento dell’Oro Nero), il CTN aveva tutte le premesse per costruire la nuova Libia.
Nel luglio del 2012 le prime elezioni a suffragio universale della storia del paese africano produssero il Generale Congresso Nazionale (GCN), frutto della rivoluzione.
Quando il colonnello Gheddafi cadde, il numero di rivoluzionari armati stimati dal CTN era di 60.000 unità. Poco più di anno dopo erano 200.000 divisi in più di 500 milizie, la metà delle quali provenienti da una sola città Misrata.
L’opera del Congresso non riuscì a pacificare una nazione profondamente divisa tra regionalismi, tribù e etnie. La Libia fu creata nel 1963 unendo la Cirenaica nell’est, il Fezzan nel sud e la Tripolitania nell’ovest. Una divisione che è stata lenita dal colonnello Gheddafi (1968 – 2011) , l’islam e il paternalismo statale grazie al petrolio.
A febbraio del 2014 dopo la fine del mandato del GCN, gli stessi parlamentari decisero di non abbandonare la poltrona, violando la neonata Costituzione
Da quel momento in poi la guerra civile in Libia è esplosa e dopo un anno non dà ancora segni di cedimenti. In Libia attualmente sussistono due parlamenti, due governi e due governatori di due banche centrali libiche.
L’esercito ha due generali come comandanti in capo divisi per linee etniche. I soldati delle tribù arabe gravitano intorno a Dignità e al generale Haftar. I molti meno Misratani (cittadini di Misrata) e i berberi sono in orbita con Alba della Libia (ADL).
Anche il territorio segue i suoi contendenti. ADL controlla la maggior parte dei punti nevralgici del territorio(la Cirenaica e parte dell’ovest del Fezzan) compresa la capitale Tripoli mentre i miliziani di Dignità, meglio equipaggiati, la Tripolitania e l’altra parte del Fezzan.
Dignità dichiara di essere il normale alleato degli USA, del generale Sisi presidente dell’Egitto e acerrimo nemico dei Jhiadisti islamici. ADL considerano se stessi i veri depositari della Rivoluzione contro Gheddafi, e per questo stanno continuando la loro lotta per evitare una nuova dittatura militare.
Provati dal fallimento in Afghanistan e in Iraq, gli Occidentali guardano la situazione deteriorarsi. Il Presidente Obama si è lavato le mani dopo che gli islamisti uccisero l’ambasciatore USA , Chris Stevens, a Bengasi nel settembre del 2012.
L’ Italia, l’ex potenza coloniale, è l’ultimo paese ad avere un’ambasciata funzionante a Tripoli. Turkish Airlines, l’unica compagnia aerea rimasta a volare in Libia ha sospeso i voli il 6 gennaio scorso.
L’ Egitto, che condivide una frontiera di 6.000 km, e la Tunisia hanno chiuso le frontiere. Nemmeno con Gheddafi il paese era così chiuso al mondo esterno.
L’isolamento e l’embargo sulle armi delle Nazioni Uniti non hanno impedito comunque che i vicini stranieri giocassero un ruolo inutile.
Dignità è supportato dall’Egitto di Sisi e dagli Emirati Arabi Uniti (EAU)che hanno tra l’altro inviato uomini e aerei da combattimento. Il Qatar, i rivali del Golfo dell’EAU e la Turchia non fanno mancare la vicinanza agli islamisti e i misratani.
Come se non bastasse, il piccolo porto di Derna nell’est della Libia ha la fama di aver inviato più jihadisti per persona a combattere in Iraq che altrove nel mondo. Il Nord est del paese è in mano alle tribù Tuareg che hanno già tentato un colpo di Stato in Mali. La produzione di petrolio è passata dagli 800mila a i 100mila barili al giorno.
La Libia se fosse un affresco avrebbe questo titolo: Un fallimento chiamato Libia.
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