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Un fantastico via vai

Creato il 10 dicembre 2013 da Sempreinformato

Un fantastico via vai

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All’attesa conferenza stampa del film Un fantastico via vai, di Leonardo Pieraccioni, di fronte a un nutrito numero di giornalisti, hanno partecipato il regista toscano, il cosceneggiatore Paolo Genovese, il maestro Gianluca Sinibaldi, addetto alle musiche e un cast quasi al completo: Serena Autieri, Maurizio Battista, Marco Marzocca, Marianna Di Martino, Chiara Mastalli, Giuseppe Maggio, David Sef, Giorgio Panariello e Massimo Ceccherini. In un clima conviviale e accomodante, Leonardo Pieraccioni ha speso alcune parole sul film, commedia simpatica che narra la storia di Arnaldo Nardi, marito e padre di due simpatiche gemelle, modesto impiegato di banca affezionato alle proprie abitudini familiari, che per un equivoco viene cacciato di casa dalla moglie. Nella ricerca improvvisa di una sistemazione, trova una stanza in affitto in una casa di studenti. Lo stare a contatto con quei ragazzi, con i loro problemi così semplici ma così seri, fa rifiorire in lui una giovinezza assopita che in famiglia non riusciva a esprimersi se non per comportamenti infantili. Durante la conferenza stampa, che è diventata presto un teatrino di comicità, il più preso di mira è stato senz’altro Massimo Ceccherini, arrivato in ritardo e con una bizzarra scoppola in testa che non si è tolto durante tutto l’incontro. “Scusatelo” ha detto subito Leonardo Pieraccioni “è che lui ogni giovedì alle dodici dà lezioni di catechismo. Per questo ha fatto tardi”.

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Come nasce l’idea del film?
Leonardo Pieraccioni: Credo che sia nata dopo i tanti incontri che ho fatto nelle Università per parlare del mio lavoro. Incontri informali dove mi divertivo io per primo e dove si creava subito un bel feeling che abbatteva ogni barriera di età. Dopo ogni incontro mi sarebbe piaciuto andare a cena a casa degli studenti per continuare a divertirci ma mi rendevo conto che la realtà dei fatti era che quando poi qualcuno mi avvicinava per chiedermi una foto o un autografo mi dava del “lei, deferente e rispettoso per gli anni in più che avevo. Dentro mi sentivo ancora un ragazzo, ma fuori ero uomo. Quando questa mia esperienza si è incontrata con un racconto che mi fece Paolo Cecco, di un signore di cinquant’anni buttato fuori di casa dalla moglie, le storie si sono unite e ne è nato il film che avete visto

Quanto conta nella riuscita del film l’intervento di un autore come Paolo Genovese?
Leonardo Pieraccioni: Beh, conta perché il metodo di Paolo è completamente diverso da quello che avevo utilizzato fino ad ora. Se il mio era un modo di lavorare tipicamente toscano, che conosce l’inizio delle storie e dei personaggi, ma non la loro evoluzione e la fine, con Paolo ho imparato ad imbrigliare la storia da subito, a definire la struttura del lavoro lasciando poco spazio all’improvvisazione. Prima si partiva con la scrittura come in un carnevale, senza sapere bene dove si sarebbe arrivati. Sono due modi diversi, entrambi belli, ma devo dire che l’ordine maggiore di Paolo mi ha aiutato nella scrittura

La scena della corsa per non pagare il conto al ristorante ripete una esperienza e quindi una nostalgia personale?
Leonardo Pieraccioni: In quelle corse c’è il riassunto breve di me e di tutto il film: i miei ventinove anni e le corse per fuggire ai salassi e ora, invece, la milza che fa male dopo pochi passi. Durante le riprese, tra l’altro, sono pure caduto per fare quella scena. Lì per lì ho fatto finta che fosse previsto, per far ridere le persone che si trovavano lì, ma in realtà è stata una figuraccia terribile. A cinquant’anni non puoi più scappare da una trattoria, perché, tra l’altro, fai anche tristezza.

Vorrei chiedere a Panariello: come si è trovato a vestire i panni del riccone razzista, personaggio un po’ scomodo e tra l’altro tra i meno comici del film?
Giorgio Panariello: E’ vero, il mio personaggio è molto strano: odia i neri, ma ama gli animali. Il cinema, d’altronde, è bello proprio per questo: ti permette di interpretare personalità che nella vita reale sono molto lontane dal tuo modo di essere. E poi, in fondo l’evoluzione del mio personaggio è una evoluzione positiva, una crescita.

Come sono cambiati i giovani dai tempi de I laureati ad oggi?
Leonardo Pieraccioni: Ma i giovani sono sempre gli stessi! Tra i venti e i venticinque anni c’è uno tsunami di emozioni fortissime e sono sempre le stesse, per ogni generazione. La cosa più bella dei giovani personaggi è la loro evoluzione: guardano questo loro nuovo inquilino, che potrebbe essere un loro genitore, all’inizio con curiosità perplessa, poi capiscono che ha lo stesso loro spirito giovane e un pizzico in più di esperienza che li aiuterà a risolvere, anche a loro insaputa, qualche problemino. I giovani di oggi sono forse anche più determinati di quanto non lo fossimo noi. Per dirne una, durante i provini la Mastalli mi ha minacciato con una video lettera stile Bombolo nella quale mi diceva: “a Pieracciò, io da fa li pronini me rotta. O me piji o te la poi pià ‘n saccoccia!”

Checco Zalone rappresenta una rinascita del film comico. Come lo vede e quale film in uscita per Natale temete più di altri?
Leonardo Pieraccioni: Zalone è bravissimo, super efficace. In effetti l’avevo chiamato per questo film, ma poi la Medusa lo ha contattato per farne uno suo. Tra i film in uscita temo Lo hobbit, che piace a grandi e piccini proprio perché è brutto. Infatti avevo pensato di chiamare il nostro film Lo Ceccherini, in modo da non discostarci troppo dal soggetto.

Genovese, come è stato lavorare con Leonardo Pieraccioni?
Paolo Genovese: Leonardo oltre a scrivere il suo film te lo recita anche, ed è divertentissimo, anche perché sa imitare alla perfezione gli altri attore sul set. Forse più che di uno sceneggiatore avrebbe bisogno di una dattilografa, perché tira giù delle cose talmente rapide e geniali che basta coglierle e scriverle.

Leonardo, in questo film usi moltissimi dialetti. Perché questa scelta?
Leonardo Pieraccioni: Mi è sempre piaciuto, fin dai tempi de I laureati, di non fare soltanto un film toscano per toscani. Ci sono dialetti che mi fanno morire dal ridere: i due romani, poi (Battista e Marzocca), li ho presi perché nelle filiali bancarie è difficile trovare persone autoctone e servivano quindi due dialetti diversi dal toscano.

Quali sono stati i suoi rapporti con la città di Arezzo, dato che è la prima che gira un film in questa città?
Leonardo Pieraccioni: E’ vero: Arezzo è una città che frequentavo solo per fare teatro o per il mercatino dell’antiquariato la domenica. È stato piacevole rimanere lì per intere settimane, durante le riprese: è un gioiello, tutta poggi e buche, quindi anche le riprese vengono per forza bene in angoli così pittoreschi.

La sua canzone nel film: come l’ha creata e come è riuscito a inserirla nel film?
Leonardo Pieraccioni: E’ da quando faccio cabaret che scrivo delle canzoncine. Questa mi pareva particolarmente carina. Quando nasce un figlio è sempre una cosa bellissima. Ora mia figlia ha tre anni. Una volta ricordo che fece una risata tanto pura e fragorosa che mi venne voglia di scrivere una canzone e ho paragonato quella risata a tutto ciò che di più bello mi veniva in mente. Quando la terminai la feci subito ascoltare a mia figlia. Lei la ascoltò e subito dopo mi disse: “si, si, ma ora mettimi i cartoni!”. Ci sono affezionato e così ho forzato un po’ la mano per farla inserire nel film: mi sono fatto raccomandare dal regista ed eccoci qua!


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