Un fantastico via vai costituisce il tentativo da parte di Leonardo Pieraccioni, regista, attore e sceneggiatore, lodevole ma in buona parte naufragato fra i flutti delle buone intenzioni, di smarcarsi dal consueto canovaccio delineato sin dai tempi del suo secondo film, Il ciclone (’96), seguente al felice esordio di un anno precedente, I laureati. Minime infatti le varianti espresse nel corso degli anni, volte man mano ad accattivarsi la simpatia del pubblico, tra toni sempre più surreali, fiabeschi, lievi, vagamente poetici, riservandosi il congeniale ruolo di giuggiolone romantico, sempliciotto e di buon cuore.
Un “disadattato in letizia”, il quale vive in un mondo a parte, con contorno di tipi lunatici, ed attende fiducioso che la vita gli possa ridare quanto in qualche modo si è preso, a partire, ovviamente, dall’amore, di solito rappresentato da un’esotica bella figliola. Ora che il consueto compagno di giochi, Giovanni Veronesi, sembra aver capito cosa voler fare da grande (vedi la recente valida prova offerta con L’ultima ruota del carro), Pieraccioni ha scelto come collaboratore alla sceneggiatura Paolo Genovese, il quale ha cercato di offrire un certo risalto alla narrazione invece d’insistere sulle bizzarrie proprie del consueto teatrino di cui sopra, delineando tanto una certa malinconia di fondo quanto il ricorso ad un banale simbolismo, che finisce col rappresentare il classico volo di Icaro, senza mai conferire un minimo di spessore o profondità.
Serena Autieri e Leonardo Pieraccioni
Arnaldo Naldi (Pieraccioni), è un uomo cui la vita ha dato molto, un impiego in banca, una bella famiglia, composta dalla moglie Anita (Serena Autieri) e dalle due gemelle Martina e Federica.
La sua esistenza scorre avvolta nella rassicurante placenta della routine quotidiana e l’amore fra la coppia si è mantenuto costante nel tempo, anche se inizia a palesarsi quell’effetto speciale noto come “minestra riscaldata”. Arnaldo però non sembra intenzionato a mettere in atto alcuna riflessione propria di un uomo giunto alla soglia dei cinquant’anni, su quel che si è avuto, si è dato e si può ancora offrire e ricevere. Quando la moglie lo manderà via di casa per un banale equivoco, il nostro non ne farà un dramma, anzi, ispirato dalla casuale lettura di un annuncio, si presenterà come coinquilino in un appartamento abitato da quattro universitari: Camilla (Marianna Di Martino), che ha lasciato la Sicilia per nascondere ai genitori la sua gravidanza, Edoardo (David Sef), mulatto alle prese con il razzismo del padre della sua fidanzata, Marco (Giuseppe Maggio), aspirante medico con la paura del sangue ed Anna (Chiara Mastalli), la cui solarità nasconde una serie di problemi. La coabitazione, e successiva amicizia, porterà non pochi cambiamenti nella vita di Arnaldo e dei ragazzi, in un percorso di crescita reciproca.
Marco Marzocca, Massimo Ceccherini, Maurizio Battista
Dietro il consueto paravento della gradevolezza complessiva, cui contribuiscono l’assenza di volgarità gratuite e l’altrettanto abituale gentilezza nel proporsi, con la bonomia che è propria del buon Pieraccioni, Un fantastico via vai soffre in particolare, e lo evidenzia a piè sospinto nel fluire della narrazione, della mancanza di una maggiore determinazione nel proporre qualcosa di veramente nuovo, che si distacchi definitivamente dai toni buonisti e falsamente ingenui della nota favola cara al regista.
Se è palese la normalizzazione attuata in fase di sceneggiatura di personaggi abitualmente stravaganti (vedi Massimo Ceccherini, qui, tutto è relativo, particolarmente sobrio e misurato) o solitamente volti al ridanciano, come Giorgio Panariello costretto nelle vesti di un imprenditore razzista, una caratterizzazione sin troppo da macchietta, appare invece stridente l’innesto della comicità romana offerta dalla coppia Maurizio Battista e Marco Marzocca, i colleghi zuzzurelloni di Arnaldo, i quali danno vita ad una serie di scenette dalla funzione per lo più riempitiva del vuoto che man mano si viene a creare.
Giuseppe Maggio, Marianna Di Martino, Chiara Mastalli, David Sef
L’ “urgenza” di esprimere il disagio esistenziale proprio di una generazione che ha smesso troppo presto di sognare, e cerca un recupero al riguardo per conto terzi, adoperandosi perché gli errori di gioventù possano trasformarsi in uno sprone per le nuove leve, fra speranza ed indiretta rivalsa nel passaggio di testimone, rimane circoscritta in una sorta di isola felice dove l’unico contatto con la realtà è costituito da uno smaccato product placement.
I quattro universitari, “giovani, carini e disoccupati” rappresentano a loro volta un ulteriore mondo a parte, avvolto dalla barriera protettiva di una luccicante e modaiola inconsistenza, con Arnaldo a fare da attempato boy scout, un po’ fratello maggiore, un po’ papà, nell’aiutarli, fra pistolotti inutilmente moraleggianti e spesso pretestuosi, ad attraversare la strada che li condurrà all’affermazione di sé. Il tutto suggellato da un finale maldestramente simbolico, nel quale risalta una certa sciatteria registica già evidente in alcuni bruschi, e poco curati, passaggi di raccordo tra le varie sequenze nell’intero arco narrativo, uno scombinato via vai di antica goliardia e serpeggiante mestizia che blocca Pieraccioni in un’aurea sospensione fra l’eterna sindrome di Peter Pan ed una tormentata andropausa.