
Nonostante questo, nella preistoria del social web c'era chi aveva già capito che la Rete poteva essere un valido mezzo per mobilitarsi di fronte a una causa comune. La causa era la seguente: manifestare il proprio sostegno o la propria contrarietà al referendum parzialmente abrogativo della legge 40.
Sono passati quasi sette anni da allora. Abbiamo cambiato tre governi ma i punti fondamentali dell'etica filoecclesiale (concetto ben diverso dall'etica cristiana, cattolici inclusi) non sono cambiati più di tanto. I primi barlumi di progresso sono arrivati da sentenze della Corte Costituzionale che hanno accolto i ricorsi di singole, coraggiose famiglie.
L'ultima è giunta due anni fa: spetta al medico decidere quanti embrioni impiantare e quanti congelare per utilizzo futuro. La legge 40 imponeva l'impianto fino a un massimo di tre embrioni, senza alcuna possibilità di crioconservarne altri per il futuro. Se l'impianto falliva, si doveva ripartire da zero, con terapie ormonali e quant'altro. Avere un figlio è una delle pratiche più invasive che la nostra società ci impone.
A farmi tornare alla mente il piccolo ma significativo passo avanti che questa sentenza ha portato con sé è stato un articolo di Michela Marzano su Repubblica, rilanciato poco fa dal sito di Se non ora quando. L'articolo dice - fra le altre cose - questo: "Siamo un paese in ritardo, eppure in movimento. Un paese che in passato favoriva chi poteva permettersi un viaggio all´estero e pratiche inconfessabili ma che oggi, lentamente, sta dando più possibilità a tutti. Perché è evidente che la parola «procreazione» scarnifica un desiderio che, in qualche modo, va ascoltato. Senza barriere e pregiudizi".