Ogni tanto mi piace vedere i film che le superstar del momento hanno fatto quando erano delle, come in questo caso, signore nessuno. Non so il perché di questa mania, anche perché non ho particolari fanboysmi verso gli attori, però credo che sia bello vedere gli esordi per valutare tutta la maturazione che un professionista ha avuto durante la propria carriera. Un po' come vedere quanto un regista sa migliorare col tempo, alla fine, anche se quello attoriale è un campo che mi interessa più limitatamente. Adesso possiamo dire che Jennifer Lawrence tutti la conoscono e dopo la diffusione degli autoscatti hot si ha più di un motivo per amarla, oltre alla bravura, eppure anche lei ha iniziato da qualche parte. Da che Hunger Games è uscito nelle sale, e ormai parliamo di qualche annetto, è diventata l'idolo delle ragazzine di mezzo mondo e sta facendo incetta di premi un poco ovunque. Ma è sempre stata così? No, anche lei un tempo era una comune mortale. Una comune mortale molto gnocca, va specificato, ma sempre facente parte della categorie delle 'persone comuni'. Per una volta però abbiamo a che fare con un'attrice idolo degli adolescenti che se la cava pure benissimo e che qui, alla sua quarta fatica come attrice, riesce a dimostrare tutto il talento che possiede con una parte non semplice e perfettamente calibrata per una della sua età. E dire che io all'epoca dovevo fare la maturità e sognavo ancora di diventare il re delle saghe fantasy...
Ree Dolly è una giovane diciassettenne che vive in una fattoria dalle condizioni disagiate: la madre è mezza andata e deve occuparsi da sola dei due fratellini, mentre il padre è finito al gabbio per lo spaccio di metanfetamine. Ma è proprio dalla figura paterna che arrivano i guai, perché ha impegnato la casa per pagarsi la cauzione, e adesso sembra essere scomparso, così la casa deve essere confiscata. La ragazza proverà a chiedere aiuto un po' a tutti, ma l'intera comunità sembra esserle reticente...
Ho sempre pensato che le donne avessero un tocco particolare nel raccontare le storie. La prima volta che l'ho pensato fu leggendo le Cronache dei Vampiri di Anne Rice, perché sentivo in qualche maniera che in quella saga c'era un tocco femminile nella scrittura e che era proprio quello a darle così tanto fascino - che a mio parere è andato in parte perdendosi nelle trasposizioni cinematografiche che ne sono state fatte, soprattutto nella seconda, che per l'appunto sono state dirette da degli uomini. Poi certo, esistono casi come Cathrine Bigelow (l'ex signora Cameron) o Catherine Hardwick (no, questa è solo un'incompetente) ma credo che alla cerchia vada aggiunta anche Debra Granik, una regista che sembra avere due palle quadrate come il peggior montanaro. Detto come complimento, ovviamente. A vedere questo Winter's bone mi è venuto in mente un'eco del recentemente visionato Joe, perché penso che le atmosfere si assomiglino, in qualche maniera. In ambo i casi abbiamo due protagonisti che, anche se di età molto diverse, devono farsi strada in un mondo che sembra marcio fino al midollo, e sempre in entrambi i film si aveva una strana analisi di quelle che devono essere le figure di riferimento presenti nell'esistenza di ogni persona. Con l'unica differenza che questo è un film totalmente al femminile che però sembra parlare di uomini. E lo fa col loro linguaggio. E lo fa stramaledettamente bene, perlopiù. Nonostante si stia parlando di un film indipendente che, come tutti i film indipendenti che si rispettano, ha partecipato al Sundance Film Festival (il festival del cinema indipendente fondato da Robert Redford), evita tutti i crismi che sembrano ormai essere tipici delle pellicole che partecipano a quella manifestazione, quindi va dato atto alla Granik di aver messo in scena una storia sporca sia nelle intenzioni che nell'aspetto visivo, con questo massiccio uso della telecamera a spalla che ci rende partecipi della ricerca di Ree, una ragazza dalla vita non semplice e dai sogni non convenzionali che cerca di fare il meglio che può col poco che le viene offerto. Non è una storia molto adrenalinica, il ritmo complessivo è davvero molto lento, cosa enfatizzata dalla quasi totale assenza di colonna sonora, e i realizzatori sembrano non fare nulla per rendere meno amara la pillola, eppure si arriva alla fine con un salutare peso sullo stomaco che ti fa comprendere in pieno quanto questo film sappia essere potente. Certo, ci sono degli innegabili difettucci, alcuni sono tecnici e dovuti al budget davvero ridotto, mentre altri a delle scelte di sceneggiatura (tratta dal romanzo omonimo di Daniel Woodrell) forse un po' troppo statiche, ma non si tratta di nulla che infici il risultato finale. Si tratta di un film vecchio stampo, uno dove per creare un qualcosa di degno da vedere non ti servono effetti speciali e costi di produzione astronomici, ma solo una buona storia, un regista che sappia il fatto suo e dei bravi attori - teoria portata all'estremo da Locke. Qui, guarda caso, abbiamo la bella Jennifer Lawrence di cui sopra, che come attrice è davvero eccelsa e si destreggia con una parte che l'ha fatta giustamente notare prima del boom della saga young adult distopica (perché a dire 'film per bambini' qualcuno potrebbe offendersi) per eccellenza, regalandoci un personaggio femminile decisamente più bello e ammirevole dell'arciera con la treccia che viene spacciato come post-femminismo moderno. E ne esce quindi un film che parla di vite dure che vengono su in un mondo più ingiusto di quello che sembra coi suoi figli, vero riflesso di quella che può essere la normalissima società civilizzata. e dove la verità non viene mai saputo fino in fondo. Ma non importa, alla fine. Ci resta pur sempre la nostra, di verità, ed è quella che conta più di tutte.
Le donne sono i nuovi uomini. Ma si dice infatti che se fosse per gli uomini, si fermerebbero tutti al primo figlio perché non reggerebbero il dolore di un altro parto.Voto: ★★★ ½