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Un gioco con l’accetta

Creato il 29 settembre 2010 da Gadilu

Un gioco con l’accetta

Stasera propongo un gioco. Un piccolo esperimento giocoso. Un esperimento che riguarderà il mio modo di esprimermi. Se volete, commentando, potreste seguire l’esempio e vedere alla fine che effetto farà.

Dunque. Generalmente, parlando di toponomastica, ho sempre un po’ cercato di esprimermi in modo saggio, considerando le ragioni degli uni, le esigenze degli altri, ho insomma analizzato la situazione sforzandomi di offrire un quadro provvisto delle necessarie sfumature, evitando i contrasti troppo accesi e le esasperazioni. Ma stasera voglio cambiare e stenograferò al contrario alcune opinioni così come vengono. Senza filtri stilistici o concettuali. Un gioco con l’accetta, per l’appunto.

I protagonisti principali:

L’AVS. Sono dei furbi. Zitti zitti hanno cercato di seminare le montagne con cartelli scritti perlopiù solo in tedesco. L’hanno fatto ovviamente apposta, improvvisandosi “giustizieri della notte” e senza badare troppo alle conseguenze. Anzi,  meglio, infischiandosene delle conseguenze.

Durnwalder. Si considera talmente furbo da poter pensare di sembrarlo sempre, anche e soprattutto quando gli tocca fingersi scemo. Sapeva benissimo dell’azione dell’AVS, ma poi ha cominciato a ciancischiare sulle competenze (l’AVS è un’associazione privata… la Provincia non c’entra… i cartelli sono su suolo privato….), sui finanziamenti (comunque non gli abbiamo dato un soldo, è tutta opera di volontari, io non sapevo nulla…) e insomma cercando di lavarsene le mani (ma se hai le mani in pasta dappertutto è difficile lavarsele, le mani). Sul suo conto anche l’arroganza di aver reagito in modo inopportuno al primo richiamo ministeriale (il famoso “me ne frego”) e l’arroganza ancora più grande di aver poi cercato di risolvere la situazione firmando con la sua manona il famoso “accordo”.

Fitto. Anche lui all’inizio ha mostrato arroganza indossando il mantello da giustiziere e lanciando ultimatum uno più inverosimile dell’altro. Alla fine incassa l’”accordo”, ma senza rendersi ben conto delle sue “proporzioni” (e infatti appena posata la penna usata per la firma sono scattate le interpretazioni contrastanti sul significato di alcuni termini di quell’accordo e dunque sul suo significato).

La posta in gioco:

Tutta questa faccenda non ha nulla a che fare con le questioni della “sicurezza” dei sentieri di montagna (argomentazione risibile messa in campo da chi ha criticato l’operato dell’AVS), né col ripristino della “giustizia storica” (come sostengono quelli che vorrebbero eliminare la toponomastica di Tolomei). La posta in gioco è: marcare il territorio. E qui si registra una sostanziale asimmetria. I “tedeschi” non sopportano che le “loro” montagne abbiano nomi italiani (gli viene comodo che i nomi siano stati inventati da un “fascista”, ma il fastidio è comunque rivolto nei confronti del bilinguismo – e non solo del binomismo! – in generale) e il messaggio è chiaro: le montagne sono roba nostra, giù le mani. Gli “italiani” vorrebbero poter dire “le montagne sono ANCHE nostre” e per questo tendono a sorvolare sul fatto che l’origine di questa appropriazione sia condizionata dal passato fascista e colonialista (insistono sui nomi di Tolomei perché non ne hanno altri e non tollerano che i “tedeschi” glielo ricordino).

La soluzione:

Si è detto mille volte (parlando perlopiù al vento) che solo da un simultaneo e comune PASSO INDIETRO risulterebbe possibile sfiammare il confronto. I “tedeschi” dovrebbero rinunciare all’idea che la “storicità concresciuta” (!) dei loro nomi sia l’unico criterio da far valere; gli “italiani” dovrebbero rinunciare all’idea che la loro presenza in questa terra sia legata alla difesa dell’eredità tolomeiana. Insomma, i primi dovrebbero riconoscere che non sono i PADRONI di questo posto, i secondi dovrebbero riconoscere che l’aver voluto fare i PADRONI in passato implica che prima o poi si cominci sul serio a fare i conti con quel tipo di passato.  Ognuno dovrebbe compiere questo passo da solo, spontaneamente. In caso contrario non esisterà “accordo” in grado di risolvere questo dissidio. E si andrà avanti all’infinito.

 



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