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“Un gioco e un passatempo” di James Salter

Creato il 30 aprile 2013 da Sulromanzo

Un gioco e un passatempo, James SalterUn gioco e un passatempo, tradotto da Delfina Vezzoli, è l’unico libro di James Salter disponibile qui da noi. Lo ha pubblicato Bur nella sua collana Original dalle belle copertine, in questo caso una foto di Tamara Schlesinger, e dalla carta pessima, incollata male, impossibile da aprire: si è costretti a leggerlo rigorosamente socchiuso, altrimenti le pagine comincerebbero a saltare come ranocchie. Non capisco pertanto il punto di contenere una scrittura così preziosa come quella di Salter in un libro che già da nuovo è tutto scassato. Vabbe’, uno dei tanti misteri destinati a rimanere tali. O forse no.

Ho deciso di scrivere alcune parole su questo romanzo breve, pubblicato nel 1967, il primo di cui l’autore si ritenne soddisfatto, perché tra un mese uscirà il suo ultimo lavoro: All That Is (già disponibile in versione digitale) che pare sia un capolavoro di stile, almeno a sentire la stampa americana.

Ma chi è James Salter? Non famosissimo in patria e quasi sconosciuto da noi, conta su un manipolo di ammiratori entusiasti, tra cui Sontag, Irving, Easton Ellis, Plimpton e via di questo passo e caratura. La sua produzione è tutto sommato esigua: alcuni romanzi, due libri di racconti, uno dei quali ha vinto il PEN/Faulkner, un libro di memorie, e pochissimo altro, come ad esempio un documentario da lui diretto e che nel 1962 fu premiato alla Mostra del Cinema di Venezia.
Militare di carriera, figlio di un militare, diplomato a West Point, si è arruolato volontario come aviatore nella guerra di Corea (sua descrizione di un MIG che ha appena abbattuto: «Cade da trentamila piedi, fino a quando la sua ombra, all’improvviso, appare sulle colline e lentamente si muove fino a sovrapporvisi, in un’esplosione di fiamme.»). Raggiunto il grado di tenente colonnello, lascia l’esercito, cambia legalmente il suo cognome: nato Horowitz diventa Salter - fino ad allora solo “nome di penna”. Lascia quindi il mondo di aerei e militari («Chi fa la guerra non combatte; come ha scritto Saint Exupéry, chi fa la guerra uccide») per entrare definitivamente nell’altro, quello fatto di parole, scrittura, e visioni.

Un gioco e un passatempo, ecco una frase che può darne un’idea piuttosto precisa: «La sua erezione è così intensa che ha la sensazione non finirà mai». Storia di una stagione erotica tra Philip Dean, giovane di 24 anni, talento matematico che ha deciso di lasciare Yale e andarsene in Francia, e Anne-Marie Costellat, cameriera, ma soprattutto popolana. Bella, soda, silenziosa e inconsapevole come un albero dai fiori di un bianco marmoreo che se ne sta fermo e pensoso in quella sua posa vibrante che punta verso l’infinito. Pura alterità. Il romanzo è narrato dalla voce di un amico di Philip, che immagina, che ricostruisce e fantastica la storia dei due ragazzi dal corpo trionfale. La voce di un voyeur puro, che spia e invidia la potenza di quegli incontri eroici, silenziosi, rotti da ansimi, grida folli, sussurri, e dal rumore delle cittadine di Francia che entra dalla persiane, assieme alle luci, alle voci, al ronzare lontano di qualche auto.

Il fatto che questo libro sia costituito dalla voce di uno che guarda spiega parecchie cose, se non tutto. La prosa, qui, è lampi, immagini e sensazioni intense e fugaci come sbuffi di calore. E non stupisce che Bret Easton Ellis, con la sua scrittura dall’occhio vitreo, lo consideri un grandissimo scrittore, un grandissimo stilista. Sia Salter che Ellis tengono conto, ne sono ossessionati direi, della distanza incolmabile e costante che si apre tra due corpi, tra le proprie emozioni e se stessi, tra due corpi avvinghiati e tutto il resto. La voce di un guardone è condannata a sfiorare di continuo una visione senza mai riuscire a possederla.
Ho pensato che a questa scrittura aspirava Flaubert (ma per poterla pensare avrebbe dovuto conoscere le istantanee, la televisione, i nitidi frammenti che ci circondano), e Anne-Marie Constellat è una Emma Bovary ridotta all’essenziale, profondamente ingenua, mossa da una libertà erotica che trabocca candore.
Questa, anche, è la luce che segue Salter con le sue parole: il mistero femminile; quanto estreme e indifese ed eroiche le donne possano essere quando desiderano, lasciando i maschi smarriti, puzzled.
O, per dirla con le parole di Salter:

«Secondo me sono le donne le vere eroine dei miei libri, e me piace scrivere di loro. Non credo di conoscerle meglio di altri. Anzi, sono convinto che chi non ha mai scritto una parola le conosce molto meglio di me. Ma io devo scrivere di loro, e le ammiro. Potrei addirittura dire che Un gioco e un passatempo ha per argomento una ragazza eroica. Io la penso così.»

Philip Dean si contorce e inarca per il desiderio ma anche per le banalità di Anne-Marie, e le sue inaspettate originalità; per la vita che quella ragazza irradia, in maniera semplice, ordinaria, silenziosa.Dean, però, tiene la distanza, come se la esaminasse. Solo quando fanno sesso la potenza di lei si afferma. Si concede quasi come fosse morta, eppure vibra di una passione misteriosa, pericolosissima per un maschio. Il mistero femminile. Anne-Marie è passionale e timida, sembra la natura enigmatica. Lontananze. Non rifiuta gli assalti del corpo di Dean, estasiato, che «viene come un toro». Lei non lo rifiuta, ma si dà in un modo per Dean misterioso. E anche per me. In questa ragazzina c’è qualcosa d’ipnotico e profondamente sofferto, solitario, estremo. Non è una coppia affettuosa, ma fisica. Cibo, sesso, sesso, cibo, bagno, dormire, prendere il sole, cibo, sesso, muoversi di continuo.
Altra scala di valori, per Dean imperscrutabili; mentre mangiano un gambero, lei inventa una fiaba: immagina la storia di quel gambero che se ne sta disteso e ricurvo sul piatto.
Lui rimane impressionato dalla fantasia possente e inconsapevole di lei. Sente che quelle immagini possono cambiargli la vita.
Anne-Marie pare la città, la Francia delle province, banalità, cartacce, sozzura, odoracci, vetri appannati e allo stesso tempo inaspettate epifanie, scorci o combinazioni mozzafiato.
Un andirivieni da e verso qualcosa di sublime, o ancora di più che sublime: una dimensione parallela, ulteriore, sembra incontrare Dean attraverso lei, grazie a lei, o qualcosa che appartiene a lei ma di cui sembra esserne inconsapevole. Anne Marie: protesa con gioia verso cose parecchio ordinarie, banali e brutte, e scoperte, emanazioni di dea pagana, di persona che è verità, una sorta di stato anteriore rispetto a quello che forma la vita di ogni giorno. E poi c’è l’aspetto di donna di campagna servile, silenziosa ma profondamente forte e autonoma; con la sua radiolina bianca sempre accesa nelle stanze di albergo in cui dormono, e soprattutto scopano senza sosta.

James Salter
La lingua e la timidezza da matematico e anglosassone di Dean ostacolano la comunicazione, parla poco il francese lui, e lei per niente l’inglese: condividono il corpo. Non progettano. Potrebbero, tra una stanza d’albergo e l’altra, rapinare delle banche, fuggiaschi da una vita che ti annienta, quella, per capirci, che annientò Emma Bovary. E in parte lo sono, fuggiaschi. Lui fugge da una vita d’inadeguatezze, di dubbi, incertezze, una vita che non riesce a vivere perché faticosa, prevedibile e proprio per questa ragione faticosa. Il giovane talento, gli amici ricchi del padre, uno spazio che non consente di esprimere il desiderio in maniera totale, naturale, così divampante da farti tremare le braccia.
Ha un’auto fiammante, esotica agli occhi europei, come James Dean; guida di notte, lei rimane silenziosa, dorme. Si risveglia, non risponde. Ma ha un potere, pur essendo servizievole, il potere del sesso, di quella sorta di campo di forza che ha tra le cosce e attraverso il quale lui riesce in qualche modo a vivere, non solo a vivere, ma ad avere visioni. Gli si aprono il cielo e le stelle, quella parte emotiva, grezza dell’emotività che è il desiderio. Intravede ipotesi, scenari, geometrie celesti che vanno al diavolo, crollano, mentre esplode la sua via lattea dentro il corpo di Anne-Marie.

Sì, non credo di dover scrivere altre parole, un libro sul mistero, su quanto siano profondamente misteriose e sconcertanti le donne sono.

P.S.
Nel frattempo, credo di aver capito le ragioni della Bur di pubblicare un libro che non si lascia aprire, ma che si è costretti a leggere tenendolo socchiuso; si tratta di un libro narrato da un voyeur ed è quindi naturale che anche il lettore debba tenere la postura del guardone che sbircia tra le pagine, nascosto dietro una porta semiaperta, mentre la vita si crea e si disfa selvaggia.

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