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“Un Giorno” di David Nicholls

Creato il 18 aprile 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Lui è interessante. Eclettico, egocentrico, eversivo quanto basta per somigliare a un’emozione.

Lei è preziosa. Semplicemente questo. Ironica, graziosa, razionale. Idealista.

Robusta come un sapore forte, al punto tale da essere un sollievo, una spalla di parole sempre giuste. Insieme sono perfetti. E lo furono. Il 15 luglio. Per una notte intera. E per tutto il giorno scivolato intorno.

Poi la vita. Quella che smania, recalcitra e sembra sempre più testarda di chi la sta indossando.

Perché spesso è più facile demandare a lei, lasciare che vada, lasciare che decida, non prendere mai in braccio le proprie verità.

E così è stato. Emma e Dexter si sono separati. Fuori dal College hanno intrapreso altre strade, inzuppato altri letti, pronunciato altri impegni per le prossime impronte.

Sono rimasti amici. Perché quello era un peso gestibile, una realtà raccontabile, perché amarsi sarebbe stato saltare, troppo in alto, troppo in lungo, troppo al di là dei loro cuori poco atletici.

Hanno scelto di incontrarsi. Ogni tanto, per non dimenticarsi, per rovesciarsi addosso i propri resoconti, i propri fallimenti, le cadute battezzate con un altro nome.

Em è diventata un’insegnante e dei suoi spasmi letterari resta solo una commedia per gli alunni e tanti fogli che strozzano i cassetti. Dex si è buttato in tv, si è buttato nell’alcool. Si è buttato e basta.

Si incrociano quando è impossibile non farlo, quanto si è fatto necessario, ma ogni volta è un appuntamento mancato. Col coraggio di volersi davvero.

Finché qualcosa non urla di più. Forse quella stessa vita che sgambettava altrove. E che mescola le carte, divertendosi anche un po’.

Questa è la storia di Un giorno (Neri Pozza), azzeccato romanzo di David Nicholls, primo ad averlo consacrato ai suoi lettori.

Un diario di facce e di anni, dall’88 al 2007, scaraventato tra grandi guerre sullo sfondo e conflitti in primo piano. Soprattutto con se stessi, col desiderio di crescere e la paura di essere solo invecchiati.

Un romanzo in cui non scorre un plot al cardiopalma, in cui due ragazzi si amano a distanza, a mezza bocca, intonando all’unisono sinfonie di non detti, non vissuti, di “vorrei ma non posso”, di occasioni sfumate. Come a molti succede. Senza essere d’inchiostro.

La vera forza del libro sta nel suo ritmo, nella modulazione delle sue frequenze, nella capacità di pizzicare più corde contemporaneamente. In dialoghi freschi, brillanti, tagliati con bravura sartoriale sulla sagoma dei protagonisti.

Battute pronte per essere incarnate, ottime già per una sceneggiatura.

È quello che accadrà, tra poco anche in Italia, per la regia di Lone Sherfing.

Nell’attesa di scoprire se il confronto sarà retto, ci rimane quel 15 luglio di 19 anni.

E la certezza di carta che non esistono storie banali, ma solo modi banali di scriverle.

Cristiana Saporito
Flanerì


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