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Un’idea sul perché il PDL abbia votato 51 fiducie al Governo Monti e 991 provvedimenti

Creato il 30 dicembre 2012 da Iljester

monti_berlusconiLa domanda è di quelle che poi discrimineranno fra l’andare alle urne a fine febbraio oppure rimanersene a casa, ovvero scegliere un partito alternativo al Popolo delle Libertà. La risposta più semplice (e anche quella più banale) è quella che dice più o meno così: “Erano tutti d’accordo. Sono tutti uguali. Berlusconi era d’accordo con Monti.”

Ebbene, non credo che le cose stiano proprio così. E non lo credo, non perché la prospettiva non sia potenzialmente veritiera, quanto perché è troppo ovvia, troppo semplicistica e presuppone una politica interna piatta e senza un reale confronto fra i diversi partiti. Il che, per la mia piccola esperienza, è del tutto impossibile.

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Un’idea sul perché il PDL abbia votato 51 fiducie al Governo Monti e 991 provvedimenti

Semmai il ragionamento può essere fatto in termini diversi e tocca il rapporto tra i benefit ideali trasmessi ai propri elettori e i provvedimenti politici assunti in Parlamento. Tra la politica della propaganda e la politica del realismo. L’analisi del comportamento partitico non è una scienza esatta, ma è spesso presa in considerazione da un punto di vista sociologico e giuridico. E questa analisi dimostra, nelle sue linee essenziali, una costante convergenza di tutti i partiti politici verso un approccio tendenzialmente realistico in politica a fronte di una differenziazione ideale che serve per lo più ad assicurarsi un bacino di consenso duraturo nel tempo e influire sul provvedimento definitivo, assunto per la tutela dei vari interessi rappresentati.

Il che non esclude e anzi conforta la tesi di fondo sul diverso approccio che hanno i diversi partiti al medesimo problema politico. La sintesi in Parlamento diventa di fatto (e di diritto) un passaggio obbligatorio, anche perché se non ci fosse, si avrebbe l’esclusione dalla decisione definitiva di quella che è definita “minoranza parlamentare”. Che non è – badate – quella uscita perdente dalle urne (almeno non lo è in un sistema come il nostro), ma è quella che in quel dato momento storico si trova a essere minoranza o “non maggioranza” (esiste anche quest’ultima ipotesi, quando la maggioranza è tanto esigua da non reggere più un confronto parlamentare).

Perciò dire e affermare che davanti alle 51 fiducie votate dal PDL al Governo Monti e ai 991 provvedimenti dell’anzidetto Governo, votati dal medesimo partito, verrebbe dimostrato che il PDL era d’accordo con Monti, è una risposta troppo semplice. Troppo banale. Troppo ovvia, forse veritiera, ma non necessariamente vera.

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A volte si danno delle risposte semplici(stiche) perché non si conoscono i meccanismi che muovono la macchina costituzionale e il fitto di rapporti che sfuggono alla conoscenza del semplice cittadino. Ed è questo uno dei casi. E benché io non voglia affatto giustificare il PDL (tante volte ho stigmatizzato il partito di centrodestra per il suo sostegno a Monti), non posso neanche accettare la risposta: “Perché erano d’accordo con Monti.” Del resto, si può sostenere un Governo anche controvoglia e contro i propri interessi, o perché ci si è costretti dalle circostanze, o perché – per un’analisi politica che può essere alle volte giusta e alle volte errata – l’alternativa sarebbe stata peggiore. Aggiungiamoci poi il dannato vizio genetico delle forze politiche italiane di non volersi mai assumere la responsabilità diretta di emanare provvedimenti impopolari, delegandolo a un Governo incolore (o tecnico), e tutto torna.

Ciò detto, v’è da rispondere alla domanda: perché il PDL ha appoggiato i provvedimenti di Monti? Perché ha permesso che nascesse e perché ha votato la fiducia?

Partiamo dalla genesi di questo Governo. È nato sotto la spinta dello spread (su cui si può dire tutto il male possibile) e una congiuntura politica ed economica nazionale ed europea del tutto negativa. Quasi sotto una minaccia, non troppo velata, al nostro paese: la minaccia del default. Fondata o meno che fosse, l’Italia non è mai stato un paese caratterialmente e istituzionalmente “forte”, ed è sempre stato altamente condizionato dall’esterno. Lo stesso meccanismo parlamentare – lungi dall’essere democratico (se non nelle liturgie esteriori) – non ha mai generato Governi forti, ma solo Governi altamente instabili (anche quando le maggioranze sono state ampie) e deboli, facili a essere travolti dall’isteria e dalla paura, o anche dagli opportunismi contingenti e dalle influenze internazionali. Il Governo Monti è nato sotto queste spinte e a causa dei diktat europei, ai quali l’Italia è sempre stata particolarmente sensibile (anche quando questi sono andati contro i suoi stessi interessi). I motivi possono essere (stati) i più vari. Lo spread invece ne è stata la scusa ufficiale.

Il partito di maggioranza (PDL) aveva di fatto due scelte. Respingere l’attacco “esterno” oppure ritirarsi. Sulla decisione credo abbiano inciso due fattori, oltre quello Europeo e persino finanziario: il Capo dello Stato e l’intrinseca debolezza dei Governi italiani di cui ho parlato poco più su. La Costituzione, infatti, affida al Presidente della Repubblica il potere di sciogliere le Camere ovvero di affidare l’incarico di formare un nuovo Governo se ve ne sono i presupposti parlamentari. Va da sé che l’idea di Napolitano nel 2011 non era quella di sciogliere le Camere, ma di trovare una maggioranza che fosse “gradita” all’Europa. Monti era la soluzione, perché – ed è questo un dato che sfugge ai più e a chi è avvezzo a fare politica da bar – questi aveva ampi consensi anche all’interno della ex-maggioranza. Dunque Berlusconi credo si sia trovato davanti a una scelta di rottura: rifiutare Monti e spaccare il PDL, ovvero sostenere Monti e tenere il PDL unito. Nel primo caso, Napolitano e l’UE avrebbero vinto comunque, perché una maggioranza si sarebbe trovata e Berlusconi sarebbe stato fatto passare per “irresponsabile”. Nel secondo caso (quello avveratosi), Napolitano e l’Europa vincono, ma il PDL in maggioranza ha potuto condizionare (e in alcuni casi mitigare) con maggiore efficacia le scelte impopolari del Governo Monti, sostenuto con convinzione dalla sinistra e dai democristiani. Berlusconi, dal suo canto, ha evitato l’attacco più duro: l’infamia dell’irresponsabilità politica che i più gli volevano affibbiare, non con poca malafede.

A questo punto è difficile stigmatizzare pienamente il comportamento del PDL. Non che non si possa, per carità! Ma è anche vero che la politica non è solo fatta di ideali, ma è anche real politik. Giusta o sbagliata che sia la strategia berlusconiana, lo sapremo solo alle prossime elezioni, ma un dato non sfugge. Nonostante tutto, il PDL oggi è ancora un partito unito, salvo qualche uscita di comodo (montiani) e forse anche strategica (Centrodestra Nazionale). Monti, dal suo canto, si è rivelato per quello che è: un uomo dell’Europa e non dell’Italia. La sinistra si è tradita per quella che è: una forza politica appiattita sull’Europa e sull’Agenda Monti senza una sua autonomia ideale. A questo punto, la scelta elettorale non potrà che essere di pancia.


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