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Un “Impero latino”? Difficile persino concepirlo

Creato il 30 maggio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
764px-Wasilly_Kandinsky,_1912,_Landscape_With_Two_Poplars,_78_8_x_100_4_cm,_The_Art_Institute_of_Chicagodi Michele Marsonet. Non molto tempo fa Giorgio Agamben ha pubblicato su un quotidiano nazionale un articolo dal titolo un po’ arcaico: “Se un Impero latino prendesse forma nel cuore dell’Europa”. Non sorprende che lo studioso italiano, noto tra l’altro per i suoi saggi dedicati a Carl Schmitt e al concetto di “stato di eccezione”, abbia scelto un simile titolo. Stupisce, piuttosto, l’eco che le sue parole hanno suscitato.

Il pezzo è comparso in numerosi siti e blog italiani e stranieri, ed è stato pure ripreso dal quotidiano francese “Libération”. Che cos’ha dunque detto di così importante Agamben per innescare un dibattito che ha presto varcato i confini nazionali?

In realtà lo spunto è fornito da un testo scritto nel 1945 da Alexandre Kojève, filosofo russo fuggito a Parigi dopo la Rivoluzione d’ottobre e in seguito diventato alto funzionario del governo francese (era nipote del pittore Vasilij Kandinskij). Di lui si ricordano soprattutto le opere dedicate a Hegel e, in particolare, alla “Fenomenologia dello spirito”.

Il testo in questione è “L’impero latino”, e Kojève lo concepì come una sorta di memorandum per Charles De Gaulle, allora capo del governo provvisorio francese dopo aver guidato dall’esilio la resistenza contro l’occupazione nazista.

Sotto molti punti di vista è un libro profetico poiché, a guerra appena conclusa e con l’ex Terzo Reich ridotto a un immane cumulo di macerie, l’autore dimostrava di avere un’acuta percezione del futuro. Prevedeva infatti che la Germania sarebbe presto ridiventata la prima potenza economica europea manifestando nuovamente una volontà di egemonia che l’apocalisse dell’ultimo conflitto mondiale – con la spartizione del Paese fra le quattro potenze vincitrici – a tanti sembrava sepolta per sempre.

Nel suo scritto, inoltre, il pensatore franco-russo predisse anche la fine degli Stati nazionali che avevano in gran parte determinato la storia europea, e l’avvento di strutture politiche più complesse e in grado di cancellare i confini tradizionali. Le chiamò, con termine forse fuorviante, “imperi”.

Senza dubbio le pagine di Kojève meritano una seria riflessione, dal momento che entrambe le sue previsioni si sono – almeno entro certi limiti – avverate. Le tendenze egemoniche tedesche sono ben note, e la nascita dell’Unione Europea va nella direzione da lui intravista. Forse gli si può rimproverare una visione troppo eurocentrica, che a quei tempi era però più giustificata di quanto non sia ora.
La proposta contenuta nel volume è in un certo senso ancor più profetica. Prevedendo appunto la rinascita della potenza economica tedesca, seguita da un’inevitabile volontà di rinnovata egemonia, l’autore invitò De Gaulle a pensare la Francia quale Paese guida di un “Impero latino” che includesse le due nazioni “cugine” più grandi – Italia e Spagna – e quelle minori.

Un ruolo importante era attribuito alla Chiesa cattolica, depositaria della tradizione, mentre chiara risultava pure l’apertura all’area mediterranea nel suo insieme, vista quale partner naturale dell’Impero latino di cui sopra. Notevole anche l’intuizione di Kojève che la Francia e gli altri Paesi latini, se non avessero seguito questa strada, sarebbero stati condannati al ruolo di “satelliti” di una superpotenza tedesca proiettata oltre l’orizzonte europeo.

Tralasciando i pur notevoli elementi di attualità confermati ex post, è davvero pensabile – nel senso di fruibile – un progetto di questo tipo? Agamben ritiene di sì, aggiungendo che la costituzione europea (che, dal punto di vista del diritto pubblico, è un accordo fra Stati non sottoposto al voto popolare: dove la consultazione è avvenuta, come in Francia, ha avuto esiti clamorosamente negativi) potrebbe essere riarticolata, provando a restituire una realtà politica a qualcosa di simile a quello che Kojève chiamava “Impero latino”.
Da parte mia confesso di non capire come una simile linea d’azione potrebbe restituire vitalità a un’unione europea pure più ristretta di quella attuale. In primo luogo la Francia ha sempre guardato gli altri Paesi latini dall’alto in basso, sentendosi ancora grande potenza nonostante l’evidente declino. In secondo luogo non è detto che gli altri “latini” valuterebbero meglio un’egemonia francese rispetto a quella tedesca.

E, infine, si sa che la Francia – per ragioni storiche, culturali e persino etniche – è una sorta di Giano bifronte. Guarda sì all’area mediterranea con grande interesse, ma contempraneamente volge lo sguardo a Nord, direzione geopolitica nella quale si sente altrettanto coinvolta.

Agamben parla, utilizzando un’espressione di Wittgenstein, di “forme di vita” che accomunano le nazioni latine differenziandole da quelle nordiche, ma anche questo è vero solo fino a un certo punto. Il patrimonio culturale comune senza dubbio c’è, ma non così forte da indurre a ritenere che una “Unione latina” avrebbe più successo dell’attuale UE.

Non esistono insomma soluzioni facili e scontate alla crisi di un’entità transnazionale che ha sempre anteposto i fattori economici a quelli politici e culturali, salvo poi accorgersi che non basta una moneta comune a garantirne l’unità e il successo.

Featured image, Wassily Kandinsky, 1912, Landscape With Two Poplars, 78.8 x 100.4 cm, The Art Institute of Chicago


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