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Un incontro come tanti

Da Adc

Quel giorno faceva un caldo bestiale. Mi alzai a stento alle quattro del pomeriggio, mi faceva male la testa e il caldo certamente non migliorava le cose.

Scesi in strada con la barba di due settimane, la gente pareva guardarmi in modo strano. Mi accesi un sigaro. A volte è strano pensare a quanta gente si incontri nella vita, di quanta gente non si conosca e che se magari si conoscesse sarebbe in grado di cambiarti la vita; invece molta gente che si conosce è in grado di rovinartela. Ma non sono più una persona a cui si può rovinare la vita. Un vecchio catturò la mia attenzione, aveva una faccia interessante, colma di rughe - non di quelle brutte, ma di quelle che abbelliscono - gli davano un’ espressione quasi affascinante, aveva decisamente un’aria interessante. Forse si era accorto che lo guardavo e mi venne vicino.

-Dura la vita, eh?!- mi disse.

-Mmm- risposi io.

-Avevo una bella famiglia, una dolce moglie che mi amava e una bellissima bimba- disse.

- Che fine hanno fatto?

- Le ho uccise.

-Anch’io l’avrei fatto al posto tuo.

-Tu sei sposato? Hai figli?

-No, non credo.

-Ti offro una birra, ti va?

-Certo!

Lo seguii. C’era qualcosa di strano nel suo camminare, qualcosa che mi stregava, non so. Entrammo in un bar. Al bancone c’era un tizio piccoletto, anziano, ci servì due birre. Le scolammo, ne pendemmo altre.

-Tra poco morirò- disse il vecchio -ho una qualche strana malattia di cui si conoscono solo pochi casi nel mondo.

- Che culo - risposi io.Scoppiammo a ridere.

Ordinammo altre due birre.

- No, sul serio, mi dispiace.

- Mah, ormai sono vecchio, mi sono divertito, ho scopato, mangiato,bevuto, mi sono sbronzato, tanto e ho lavorato, poco. Posso ritenermi soddisfatto in un certo senso.

- Come mai hai ucciso le tue donne?- chiesi.

- Non sapevano cucinare.- rispose lui. Ridemmo ancora.

Sembrava averne viste tante, il vecchio, con i suoi begli occhi azzurri che sprizzavano vita. Bevemmotutto il pomeriggio, uscimmo dal bar che eravamo tutt’e due belli sbronzi.

- Ora che si fa?- chiesi al vecchio. Erano le otto di sera e non mi andava assolutamente di tornare a casa.

- Andiamo a casa mia- disse.

Gli andai dietro. Che strano modo aveva di camminare, ti ammaliava con quelle gambe, gambe forti, gambe da duro, gambe di uno che ne sapeva una più del diavolo, di dio e di tutti i santi del paradiso.

Entrammo nel suo appartamento, era ben tenuto, comunque meglio di come me l’ero immaginato. Mi fece accomodare su una poltrona coi poggioli di legno ormai logorati dal tempo; stappò una bottiglia di vino rosso, di quello economico.

- Che fai nella vita?- gli chiesi.

- Sono uno scrittore.

- E cos’è che scrivi?

- Mah. Tutto quello che mi passa per la mente. Poesie, pensieri. Per lo più racconti erotici, però.

- E sei bravo?

- Vuoi scherzare, ragazzo? Sono il migliore io. Il guaio è che sono troppo avanti. Mi scopriranno solo dopo la morte. Terranno dei seminari in università sul sottoscritto.

- Saresti il primo scrittore di storielle sporche ad essere studiato nelle scuole – balbettai. Ero abbastanza ubriaco e non mi riusciva facile mettere insieme una frase.

-Ragazzo, potrei diventare il più grande filosofo moderno. La vita è tutta una scopata, una grande colossale orgia. Tutti lì a metterlo o a prenderlo nel culo. Normale amministrazione.

- Effettivamente non hai tutti i torti.

- Chi se ne rende conto, finisce con l’impazzire.

- Io non credo di essere pazzo.

-Ah, no?!

-No, penso di no. Forse nemmeno tu lo sei, forse sono gli altri ad esserlo, o non lo è nessuno. Oppure, magari, c’è qualcuno più grande di noi che è pazzo e si diverte a giocare. Non lo so.

- Ragazzo, bevi, non pensarci, non fa per te.

Aveva ragione, non fa per me. Svuotai il mio bicchiere e uscii in strada.

Qualche giorno dopo venni a sapere che era morto. Mi dispiacque, era un ottimo compagno di bevute. Sono passati diversi anni da quel giorno e ancora le università non l’hanno inserito nei piani didattici. Voi che dite, ci arriverà?


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