Vi siete mai soffermati a guardare un paesaggio dal finestrino di un aereo? Io l’ho fatto oggi. Ho abbassato lo sguardo e un pezzo di mondo, incorniciato da un finestrino ovale e semi invaso dall’ala dell’aereo, mi si è parato davanti. L’ho fissato e ho cominciato a riflettere. Le case, il fiume e le montagne mi parevano parti di uno di quei vecchi modellini in cui, in un altro tempo, qualcuno ha fatto correre un piccolo treno in metallo dipinto. Ho immaginato di stendere la mano e di afferrare quel piccolo mondo immobile; per farlo, però, mi sono catapultata fuori dal mio corpo. Ho scoperto, così, che quella mano, la mia mano, che inizialmente era gigante, è diventata piccola: io stesso sono diventata immediatamente microscopica. Ho pensato di cadere da quell’altezza e di mischiarmi con le piccole persone-formiche che abitavano il modellino. In un attimo, da colosso onnipotente che dominava su quel mondo, sono diventata come loro, come quei piccoli esserini chilometri sotto di me. Ero piccola e insignificante: un granello di sabbia nel deserto, una goccia d’acqua nell’oceano. Insomma, usate la metafora che volete, il concetto resta quello.
Adesso quel momento è passato, ma non la sensazione.
Ogni giorno della mia vita fingo di essere onnipotente. Mi nascondo dietro un muro di cinismo, ma la verità è che dietro l’espressione dura, dietro le sigarette gettate a terra con tutta la rabbia che un corpo possa contenere, c’è un qualcosa di più umano, che viene ferito da ogni singolo evento.
Più volte ho sentite queste stesse parole, dettate dall’ebrezza dell’alcol, uscire dalla bocca di chi spesso ha solo incrociato la mia strada. Parole e pensieri che sono anche i miei. Ecco: PAROLE e PENSIERI. È questo ciò che ci unisce. Dietro la pelle, dietro gli occhi, la nazionalità e l’età, siamo tutti uguali, perché pensiamo allo stesso modo. Ci sentiamo tutti inutili e piccoli di fronte alla vastità del mondo; e lo siamo!
Inutili come quel dannato secondo tappeto che mia madre si ostina a tenere all’ingresso: è convinta che serva ad asciugare meglio i piedi. “A che diavolo serve se c’è già lo zerbino fuori?”. Me lo sono chiesto tantissime volte, prima di provare a toglierlo. La differenza si è notata subito; il pavimento era lercio e pieno d’impronte di scarpe.
Non so se ho reso il concetto, ma quello che ho capito su quell’aereo è che noi, tutti noi, siamo allo stesso tempo inutili e indispensabili allo stesso tempo, proprio come il secondo tappeto. Se solo uno di noi, perdesse il suo posto nel mondo, nulla sarebbe come prima. Ok, non vedete il ragionamento globalmente: se, ovviamente, io venissi a mancare a un giapponese, non cambierebbe nulla! Vedete questo ragionamento in un cosmo più ridotto, in un cosmo familiare ad esempio: “Sostituire” una persona con un’altra è difficile e non sempre si hanno dei buoni risultati.
Il succo qual è? Non lo so, trovatecelo voi. Io il mio l’ho trovato.