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Un’invasione di cose belle sotto pelle

Creato il 06 giugno 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Ci siamo detti le cose senza dircele. Come arrivare senza dire a nessuno di essere partiti. Ma ora per sapere tutto quello che manca voglio il tuo sapore. Per non ripartire più. Leggiti il bigliettino del cioccolatino e poi mettilo nel cassetto ché scrivo meglio io senza mani, con un paio di labbra. Ti sfiorerò come si fa con la porcellana, e la paura, fottuta, ti spaccherò come la porcellana, e la mortificazione, fottuta, rincollerò i pezzi che sei come nessuno fa neanche con la porcellana di Capodimonte.

Raccontami l’attesa mentre fai il conto delle pallottole, mentre scaldi il cucchiaio con l’accendino e fai salire la marea nella siringa, mentre stringi il petto che tuo padre riempirà di lividi, mentre mi graffi i fianchi e sei, comunque, pronta a spararti dentro qualcosa. Siamo tutti fatti a strati di cera “una volta”, cera bruciata che non rimetti insieme. Se la speranza è il crimine che raccontano ci sono molti più recidivi a piede libero di quello che si pensa, e siamo noi, con il terrore dello specchio e delle promesse, delle carte intestate delle macchine sempre lucide, delle lacrime in televisione.

Con la tua delicatezza ammazzi le piante ed io con la mia ti lascio piangere in pace. Qualcosa che si avvicina all’amore, sembra. Sembra così. Spietato. Che strategie segue il desiderio incastrato fra le gambe, che fermate fa il cuore, quel pezzo di cosa che solo noi e un cardiochirurgo con una bussola sappiamo esattamente dove sia. Quanta importanza rastrelli dal volto delle persone, chissà se basta. Chissà quante chiavi del wi-fi valgo, quanti “adesso no”, quanti viaggi contromano solo per accontentare la mia pazzia, quanti cortometraggi da girare tra la cucina e le scale, quanti sguardi mi vuoi cambiare, quante cicatrici di quelle che ti tocchi sono. Abbi pazienza, non si può fare tutto oggi. C’è anche ieri per vivere le cose. Attacca, difenditi, vai a guardare dove ci portano quelle dita puntate lontano.

Siamo più verosimili con le guerre disegnate sulla faccia, le sfortune si organizzano in colonie migratorie, una perizia ha stabilito che sei troppo bella. Le verità sempre a colazione ché abbiamo ancora la forza di resistere. La colpa è di chi fa male, la colpa è di chi sente troppo il dolore. Lasciami le impronte digitali sulla pelle, perdi il respiro quando ti dico una cosa bella come prima di venire, come prima di chiudere il cancello delle palpebre nei giorni festivi che passi da sola e pensi al mio sorridere imperfetto e unico.

Ho scritto una cosa sulla mia parte di cuore ma non te la dico, devi fare come Cristoforo Colombo. Troppo stanco per dirti di sì, per dirti di no, per dirti che di forse moriremo. Abbiamo voglia di piangere, di fare tutte le cose possibili, di scomparire sotto le lenzuola e durare come le comete, di cambiare almeno il nostro piccolo mondo che sta dentro una città ovvero dentro una casa ovvero dentro un fottuto cuore che ha i segni dello scotch e del nastro adesivo. Ma il prossimo pensiero non è l’ultimo, non licenzieremo nemmeno le promesse inespresse, il prossimo passo lo faremo in verticale.

Va bene, ti disoriento. Ma prima che orientamento avevi? Di mestiere non vendo bussole, ma come direzioni, come strade, come marciapiedi, come cieli e mari, come brividi e i campi magnetici siamo fatti per essere percorsi. Invasi, da cose belle sotto la pelle.

Devo farti girare come un carillon, devo darti la carica che sei l’unica che può ballare in questa casa e scomparire sotto la scatola di uno sguardo stanco. Con una gonna in tutù e quel modo di sorridere come se fossi non reggessi il minimo, il minimo delle macchine, il minimo indispensabile. Quanti non-compleanni dovremmo festeggiare prima di incontrarci, io e te? Incontrarci davvero. Senza avvocati di mezzo come Renzo e Lucia. E chi lo sa. Sposto una costellazione sul viso, mi lascio drogare dal fiocco del tuo vestito, ti lascio confondere dal mio dopo barba. Spostiamo tutte le cose che non potremo vedere sotto la pelle.




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