(foto: Corbis)
Anno nuovo, problemi vecchi. Il mercato del lavoro in Italia dà segni di miglioramento, è vero, ma le prospettive per chi ha investito tempo (e denaro) nella propria formazione non sempre sono all’altezza delle qualifiche e delle aspettative maturate. La fuga dei cervelli torna dunque precocemente d’attualità anche in un 2016 ancora acerbo. Da una ricerca condotta sui laureandi degli atenei dello Stivale dall’associazione “Donne e qualità della vita” risulta che solo il 33% dei laureati pensa di trovare un posto in Italia, il 50% è già pronto a fare le valigie. La destinazione dipende dalle lingue conosciute e dall’area di specializzazione tanto quanto dalla domanda di lavoro. Secondo i dati Eurostat il tasso dei posti vacanti nell’Unione europea nel terzo trimestre del 2015 è rimasto stabile all’1,7%. Non senza differenze tra gli stati membri però: Belgio (2,7%), Germania (2,6%) e Gran Bretagna (2,6%) sono i Paesi caratterizzati dai tassi più elevati, mentre l’Italia vola basso a quota 0,6%. A prenotare l’aereo per primi sono in genere i laureati in settori scientifici (57%) e tecnologici (56%), insieme agli architetti (49%). La scarsa fiducia nelle prospettive di mercato si estende anche a comparti, come quello culturale, in cui il nostro Paese potrebbe, e dovrebbe, eccellere. Chi ha un diploma frutto di studi di archeologia (35%) o in campo umanistico (59%) è infatti ugualmente pronto a espatriare. Chi ha effettuato percorsi di lingue (43%), in discipline artistiche e figurative (17%) o di ingegneria (19%) appare invece meno pessimista, seppur di poco. Tra i più inclini a restare ci sono invece i giovani formati in ambito turistico-alberghiero (15%), agroalimentare (9%), farmaceutico (16%), ambientale (22%) e in giurisprudenza (16%). Una tendenza, quella a trasferirsi oltre frontiera, che preoccupa e che viene però ridimensionata in senso assoluto da un altro trend non meno sconfortante: come certifica Eurostat infatti l’Italia è il Paese con il numero più basso di laureati in Europa. E quei pochi che ci sono guardano spesso al di là confine. Per diversi motivi. Le condizioni economiche generali sono uno di questi (indicato dal 33% del campione), ma le ragioni decisive sono la scarsa meritocrazia (67%) e la voglia di confrontarsi con realtà estere (43%). La volontà di arricchire il proprio curriculum con esperienze internazionali e migliorare le lingue è la molla per il 37% degli intervistati e la convinzione che all’estero sia più facile trovare un lavoro incide nel 62% dei casi. Difficile dare loro torto, doveroso dare loro alternative. Viaggiare e conoscere è una necessità per allargare i confini mentali ma avere la possibilità di applicare “a casa” ciò che si è imparato fuori è un modo per ridare ricchezza, valore e opportunità al proprio luogo di appartenenza. Senza perdere continuità generazionale: una risorsa che l’Italia non può permettersi di sprecare. The post Un laureato su due vuole lavorare all’estero appeared first on Wired.