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Un libro si scrive. La parola allo scrittore Davide Orecchio (2)

Creato il 05 febbraio 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti
Un libro si scrive. La parola allo scrittore Davide Orecchio (2)COSA SI FA CON UN LIBRO? Cosa si fa con un libro? Un libro si scrive. La parola allo scrittore.
Venerdì 6 febbraio, alle 21 - Davide Orecchio

L'esordio letterario di Davide Orecchio è arrivato nel 2012 con Città distrutte. Sei biografe infedeli, pubblicato dalla piccola casa editrice Gaffi. Nel 2013, alla sua quinta ristampa, è stato pubblicato con la nuova copertina di Maurizio Ceccato (Ifix).

Di lui Andrea Caterini (responsabile narrativa e ufficio stampa di Gaffi) ha detto: "Davide ha poco più di quarant'anni e certo, leggendolo, non diresti mai di trovarti sulle pagine di un'opera prima. Orecchio ha un'idea della letteratura molto forte e molto definita. I suoi racconti ruotano intorno alla vita, vera o presunta, di sei personaggi. Di Orecchio colpisce come la pudicizia della scrittura sia il suo modo per non sporcare di se stesso le vite che racconta. Quelle vite sono sempre colte nell'apice in cui la coscienza subisce una crepa e mostra la sua non esaustività - come un dolore che non è più possibile dimenticare e che le denuda. Quella pudicizia, la lingua lo fa percepire al tatto (una lingua elegante, densa, colta ma mai compiaciuta) è una forma di pietà".

Riproponiamo qualche stralcio della nostra recensione.

Città distrutte, è bene chiarirlo subito, è un'opera letteraria e di quelle sopraffine, nonostante il sottotitolo Sei biografie infedeli sollevi il dubbio di trovarsi al cospetto di altro. Dubbio immediatamente fugato dal risultato stupefacente e pienamente riuscito, quello di piegare la realtà storica degli archivi, delle ricerche documentali, delle testimonianze al volere della narrazione, mescolando la rigidità del resoconto biografico con l'arrendevolezza della creatività immaginifica, alternando i piani della verità e dell'invenzione, manipolando e plasmando senza regole e remore, trascinando il lettore in un altrove dove non esistono più i personaggi reali né quelli immaginati, ma soltanto l'autore e la sua voce struggente e vibrante che sperimenta le infinite sfumature del raccontare, interpretando con impegno il dolore e la malinconia, la gioia e l'entusiasmo, la delusione e la rassegnazione, la rabbia e l'offesa, la menzogna e il tradimento. E che cos'è questa se non letteratura?
[...] Un altro modo di leggere Città distrutte è attraverso le lenti di autori come Borges, Bolaño, W.G. Sebald di Gli emigrati,Marcel Schwob di Vite immaginarie, che hanno fatto delle biografie impossibili, immaginarie ma verosimili, un genere letterario. Danilo Kiš disse che la materia dell'immaginazione per essere credibile deve avere la forza del documento".
[...]Le biografie di Città distrutte possono essere lette, infine, come biografie dello stato d'animo, non importa se di personaggi immaginari, verosimili o soltanto reali, perché la malinconia, la solitudine, le illusioni infrante, l'esilio della voce in cui soffocare il dolore per un amore interrotto e derubato o per l'insostenibile stanchezza del vivere, lo stupore o il sollievo per il tempo che passa e che tutto trasforma, sono temi universali che sopravvivono allo scontro tra letteratura e storia, tra verità e finzione.

"E il tempo che è un gioco di prestigio illudendoci che il nostro deperimento siano giorni e mesi, che la morte abbia bisogno degli anni, che il più semplice dei calcoli, una somma, causi i nostri cambiamenti, le nostre nuove orbite, fa l'unica cosa che sa: passa".

Da Un esilio (1980-1984), biografia infedele di Andrej Tarkovskij - Città distrutte (pp.51-53)

Racconterò il figlio, ma devo iniziare dal padre.
Tra il venti e il quaranta imperversa nell'est. Ha i suoi che gli sono fedeli. In ogni rapina dimostra una ferocia aumentata dal patronimico nel quale si coglie il suono della predazione e dovuto alla pronuncia vibrante che sulla punta della lingua si trasforma in un ruggito. Y. Rakar: l'accento sull'ultima sillaba come uno sparo o un colpo d'artiglio. Nome spiegato dall'origine slovena di un mucchio di fratelli e sorelle nati dalle parti di Gorizia che poi presero i fagotti per issarli su spalle a loro volta sgomberate da gambe e piedi per un viaggio al di là dei recinti di Maribor, oltre le camelie del lago Balaton, sotto i fianchi promananti ghiaccio e vento dei Carpazi orientali, di città in città dai nomi non ospitali fino all'approdo di Odessa, luogo di commercio, scambi, possibilità - porto dialettico.
[...] Nel cinque nasce Rakar durante una rivolta la cui violenza non s'è ancora sedata e lui l'eredita tutta. Poi se ne servì. [...] Intrecciati gli sguardi balleranno assieme, strusceranno i vestiti e i corpi sotto, masticheranno respiri spargendo concime per il connubio dell'assassino e dell'artista, insomma l'assurdità, e lui riaccompagnandola a casa le prenderà un bacio che il crepuscolo non nasconde. Poi accadono fatti sui quali sorvolo - forse il primo amplesso, forse un'intuizione di chi sia davvero lui nella poetessa che però la zittisce[...] - finché matura come un limone dal verde al gialo e dal nocciolo al tondeggiante e polposo sul suo ramo, il matrimonio.

Città distrutte ha avuto un notevole successo di critica, ha vinto nel 2012 il premio Mondello e Supermondello, il premio Napoli e il premio Volponi.

Qui tutte le recensioni.


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