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Un lungo cammino: intervista a Samuel Daveti e Lorenzo Palloni

Creato il 20 febbraio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

(Grosseto, 1983), Lorenzo Palloni (Arezzo, 1987) e Francesco Rossi (San Benedetto del Tronto, 1982) sono gli autori di “Un Lungo Cammino”, webcomic che potete leggere sulle pagine virtuali di mammaiuto.it.ULCcover

Samuel Daveti è tra i fondatori della rivista “Peso del Martello”. Nel 2008, arriva terzo al concorso indetto da Flash Fumetto “30 minuti in 2000 pixel” con l’opera “Tempi Morti”. E’ co-sceneggiatore dell’albo “Akron – Le guerrier” (Soleil, giugno 2009). Tra i fondatori dell’associazione culturale DOUbLe SHOt  (2006), partecipa alla realizzazione di “Cose che Parlano”, e cura l’albo collettivo sull’infanzia “Fascia Protetta”. Insegna sceneggiatura al corso “Comic Project” presso il centro sociale “Crociata” di Sarzana. Tiene diversi workshop di fumetto e sceneggiatura. Partecipa alla mostra “D Comics – La Terza Dimensione del Fumetto” presso l’Urban Center di Sala Borsa a Bologna nell’aprile 2011. Promotore e Presidente dell’Associazione Culturale Mammaiuto.

Lorenzo Palloni, diplomato alla Scuola internazionale di Comics di Firenze, è fra gli autori degli albi collettivi “Fascia Protetta – Storie di bambini” e “Dreams” (DOUbLe SHOt, 2010), ha pubblicato illustrazioni, pin-up e racconti brevi in riviste, tra cui “ANIMAls” (Coniglio Editore, 2011) e sul web. Inserito negli annual internazionali “YOUNGBLOOD” 2008 e 2010, ha vinto premi come disegnatore e sceneggiatore. Ha collaborato come docente al progetto “RAR – Risate AntiRazziste” promosso dall’associazione Cospe e dall’Unione Europea. Collabora con romanzieri, autori teatrali, musicisti e dj. Il suo blog è El Mundo Non Gira.

Francesco Rossi, dopo il conseguimento del diploma presso il Liceo Artistico Statale di Porto San Giorgio, si trasferisce a Firenze, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Negli stessi anni studia presso la Scuola Internazionale di Comics, dove partecipa alla rivista “Il Peso del Martello”. Collabora poi con l’Associazione Culturale “Double Shot” all’interno della quale cura il volume di strisce “Cose che Parlano” e disegna una delle storie raccolte nell’albo “Fascia Protetta”. È docente di corsi di fumetto per bambini e adulti, ruolo che ha ricoperto anche all’interno del progetto RAR curato dal COSPE. Lavora come freelance per progetti di animazione e illustrazione.

Iniziamo con una domanda secca, come definireste “Un lungo cammino”?

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S.D. Una storia d’amore.
L.P. Un “on the road distopico“, istituzionalmente parlando. Ma in realtà è il crudo viaggio di due persone che attraversano la vita per poi trovare se stessi. E’ qualcosa di profondamente universale.
F.R. Una storia lunga… a parte le battute, per me questo lavoro è un esercizio di stile (ho sbirciato le domande successive quindi vi spiego dopo qual è la mia parte), elaborando solo un aspetto del disegno mi concentro sui dettagli ed eventuali correzioni.

Come e quando è nato “Un lungo cammino”? Di chi è stata l’idea di questa storia?
S.D. Il soggetto di “Un lungo cammino”, che è rimasto pressoché invariato, mi è venuto in mente ad Angouleme. Ero al festival della BD  per parlare di un progetto che ho realizzato insieme a Giorgio Trinchero e Nicola Saviori per la casa editrice Soleil. Avevo una camera singola in mezzo alla desolata campagna francese. La sera prima di andare a parlare con l’editor non riuscivo ad addormentarmi. È in quella fase di veglia che mi è venuta in mente la storia. Buona parte l’ho perfezionata nelle tredici ore di macchina sulla via del ritorno, dove hai qualche ora di silenzio. Nelle restanti ore la raccontavo ai compagni di viaggio.
L.P. So che Sam aveva in mente “Un lungo cammino” da anni. Già in un faticosissimo viaggio di ritorno da Angouleme, a febbraio 2010, me ne parlava: lui guidava e raccontava la storia, e più raccontava più s’infervorava. Non potevo dire “che figata di storia, voglio farlo io” perché stava lavorando con un altro disegnatore. Poi qualche settimana dopo mi contatta e mi chiede: vuoi disegnare “Un lungo cammino“? Mi butto sulle tavole, entusiasta e, beh, vengono di merda. Delle tavole di prova agghiaccianti. Non ero pronto e non avevo trovato una “chiave di lettura” grafica della storia. Insomma, congeliamo il progetto per un anno e mezzo. Poi fondiamo Mammaiuto: da lì è tutta discesa. Ci siamo detti: se una cosa la vuoi fare, falla, anche gratis, i soldi in qualche modo arriveranno.

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Come vi dividete il lavoro? Chi di voi impugna la penna e chi le matite?
S.D. Scrivo, esporto in pdf, invio la mail a Lorenzo. Dopo qualche giorno controllo il risultato sul web. Un’esperienza magica.
L.P. La divisione del lavoro è standard, o quasi: Sam scrive la sceneggiatura; la passa a me per storyboard e matite; posto le tavole nel blog segreto di Mammaiuto per l’editing; correggo e passo a FRNK (Francesco Rossi – ndr) che inchiostra in digitale; ripassa a me che coloro; posto le tavole definitive nel solito blog per l’ultimo, impietoso, editing generale e poi, quando siamo pronti, pubblichiamo. Un sistema rapido e molto funzionale: sette paia di occhi vedono più cazzate ed errori di tre paia. Lavoriamo a scaglioni di cinque, dieci pagine, in ordine numerico.
F.R. Io sono quello con la penna, però non il classico strumento bensì una penna digitale. Avrete sicuramente presente le tavolette grafiche, da molti additate come strumento del demonio, io ne faccio un uso massiccio al limite dell’abuso.

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Dalla sceneggiatura alla tavola: spiegateci un po’ il passaggio e i rispettivi contributi. Il disegnatore si ritrova dinanzi una sceneggiatura diciamo “stringente” o che lo lascia libero di fare?
S.D. La cosa che m’interessa di più quando scrivo sono i dialoghi. L’intento è di riuscire a comporre il clima della tavola in buona parte attraverso lo scambio di battute. La descrizione delle tavole è molto narrativa. Voglio che Lorenzo abbia l’impressione di leggere un libro, non un elenco della spesa dello sceneggiatore. Niente di didascalico o estremamente descrittivo. In questo modo, per prima cosa, riesco a capire se il disegnatore con cui lavoro è veramente interessato alla storia, elemento fondamentale per riuscire a lavorare insieme mantenendo alto l’entusiasmo. Secondo aspetto lascio la libertà a Lorenzo di immaginare, di aggiungere elementi narrativi a me sconosciuti. Mi piace che Lorenzo e FRNK inseriscano cose che non ho scritto o che modifichino alcune azioni. La cosa importante è che il clima, l’atmosfera emotiva che avevo in mente, rimanga intatta.
L.P. La sceneggiatura mi lascia una libertà estrema. E’ quasi americana, in questo senso. Situazione, azione, dialoghi: il tutto in, al massimo, cinque righe. Sam è un grande scrittore, vecchio stile, alla John Fante: dice tanto e lo dice bene, con poco. Per qualche disegnatore potrebbe essere fattore di panico, ma non per uno come me che vuole ogni aspetto della tavola (storytelling soprattutto) sotto controllo. Molto figo è il fatto che io non sappia niente di come evolva la storia finché Sam non mi manda la sceneggiatura. E questo non intacca per niente il mio processo creativo, anzi, lo stimola: io sono lì, viaggio con Alec e Ivan, cresco con loro.
F.R. Essendo l’ultimo della catena di montaggio vado a inchiostrare (anche se in digitale il concetto è quello) delle immagini già definite sia nella costruzione sia nella scelta dell’inquadratura, ma questo mi permette di vedere errori e dettagli nell’insieme, quasi come un lettore che trova delle inesattezze nell’albo appena comprato. Anche se non contribuisco direttamente alla sceneggiatura o allo storytelling, ho la libertà di modificare disegno ed eventuali vignette nell’eventualità che, come detto prima, leggendo la tavola qualcosa mi faccia storcere il naso.

Adesso spiegateci la genesi grafica di “Un lungo cammino”: quali sono le scelte tecniche (in particolare come mai la bicromia)? Quali i modelli?
L.P. Quando eravamo in progettazione dovevamo tenere conto del fatto che era una storia da pubblicare, intanto, su web: lasciarla in bianco/nero era escluso e per colori completi ci serviva tempo che nessuno di noi ha. La soluzione era il bicromatico: un marroncino acido che ci permette di dare l’atmosfera crepuscolare, quasi western, che la storia necessita e contemporaneamente di “scaldare” l’inchiostrazione digitale. La regia rientra poi nel tono generale: cinematografica, ravvicinata, quasi soffocante a volte. Non potrei citare altri modelli se non Michael Mann. In tutto ciò, la scelta di FRNK come inchiostratore è vincente sotto ogni punto di vista: non solo corregge le mie ancora copiose lacune, ma migliora tavole spesso scarne di dettagli e rimette le mani in intere vignette, soprattutto quelle con i cavalli. Sì, lo ammetto, ho grossi problemi nel disegnare cavalli.
F.R. Uso la punta più semplice dello strumento pennello, con variazioni di spessore e scelgo dove posizionare i neri pieni. L’ho detta troppo semplice? Vabbeh, in teoria è semplice poi però devi calcolare che cerchi di modulare il segno come col pennello vero, per differenziare i piani, pensi alle linee anche in base ai materiali, trovi soluzioni per rappresentare gli “effetti speciali” (esplosioni, fumo, luci, ecc…) senza scordarti come mettere i neri per enfatizzare le scene. Non ho modelli particolari a ispirarmi, o meglio, come tutte le volte che disegno per me e non su commissione (per commissione intendo tutto il lavoro che prendo al di fuori del sito), ci metto dentro tutto quello che mi piace, in proporzioni giuste.
La bicromia perché non abbiamo trovato un colorista, però era un po’ da stronzi non mettere almeno un colore. No la spiegazione è che, per non avere un volume da stampare a colori con costi e conseguenze varie, abbiamo trovato un buon compromesso tra la facilità di stampa e una certa gradevolezza a schermo. Secondo me il solo bianco e nero sul video estranea un po’.

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Un “on the road distopico”, bella definizione. La domanda che segue riguarda proprio l’ambientazione di “Un lungo cammino”. Il riferimento musicale all’inizio del secondo capitolo colloca la storia nel 2080, in un mondo dove alla normalità e alla sicurezza della città si contrappone il mondo feroce, violento e fatiscente delle montagne. Spiegateci come è nato questo scenario e quali sono le opportunità narrative che esso offre.
S.D. Avevo appena finito “La Strada” di Cormac McCarthy. Quel libro mi ha fatto paura. Parla di un tema cui sono particolarmente interessato, il rapporto filiale, in un modo per me totalmente nuovo. McCarthy scrive dell’assenza totale di speranza. Non c’è speranza per il mondo, per gli uomini che lo abitano. Racconta un’umanità priva di qualsiasi forma di amore. Ed è tutto spaventosamente credibile. “Un lungo cammino” nasce per scacciare quella sensazione di paura ancestrale provando a immaginare, in un contesto simile, come sarebbe stata la mia di “strada”. In più volevo utilizzare uno scenario che rendesse la scrittura del soggetto e della sceneggiatura divertente. 

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Volevo giocare con alcuni cliché propri dello scenario distopico che è quello che più mi piace da sempre. Sono affascinato dall’idea di immaginare future strutture sociali, dove i problemi dell’umanità rimangono comunque invariati ma hanno vestiti nuovi. Questo tipo di ambientazione permette una grande libertà narrativa e immaginifica. L’unico limite è di riuscire a creare una struttura credibile, solida, che stia in piedi al di là delle vicende dei personaggi.
L.P. L’ambientazione nasce per accostamento/opposizione a quella de “La Strada” di Cormac McCarty (chiedete a Sam che ne sa di più), ma come ogni storia ambientata in un futuro più o meno prossimo, le opportunità narrative che ci si presenta sono infinite: con una buona dose di realismo e un pizzico di cinismo racconti il domani; con molta consapevolezza e spirito critico racconti il presente; con profondità e sguardo lucido racconti l’essere umano; e, se sei un bravo narratore, racconti tutto questo con una buona storia. Graficamente parlando, una storia distopica in un’Italia del futuro non è mai stata affrontata, che io sappia: questo ci spinge a ricercare i documenti con più determinazione, perché vogliamo che la gente riconosca con precisione i luoghi dove si svolgono le vicende. E poi invecchiare il presente, arrugginirlo, renderlo selvaggio, è divertentissimo, quasi una vendetta.
F.R. Non ho partecipato alla scelta dello scenario ma devo dire che mi affascina, è quasi una sorta di “futuro apocalittico” un possibile approdo per la nostra realtà e quindi smuove qualcosa nel subconscio.

Dopo questi primi numeri, alcuni dei personaggi presenti nelle prime pagine sono già usciti di scena ed è chiaro che i due protagonisti sono il piccolo Alec e Ivan, due personaggi tra loro distanti (almeno nelle apparenze) i cui destini s’incrociano. Parlateci di questi personaggi e del rapporto che avete con loro.
S.D. Spiegare chi sono Alec e Ivan anticiperebbe il novanta per cento di Un Lungo Cammino. Naturalmente in loro c’è, con le dovute proporzioni, quello che sono e quello che ho attorno.
L.P. Rapporto? Duplice con entrambi, direi. Avendomi Sam dato carta bianca anche sull’estetica dei personaggi, su questi poveri cristi ho riversato fisionomie che provengono da chissà quale meandro mentale: quindi ho questo rapporto “visivo”, da papà che riconosce un figlio che non gli somiglia, che mi fa sorridere ogni volta che disegno Ivan o Alec. Un altro rapporto riguarda più l’interiorità dei personaggi: Ivan non vuole figli, vuole vivere la sua vita senza rotture di coglioni, si sente legato a leggi morali ma in realtà è un uomo buono, nient’altro; Alec è puro, ha la meraviglia negli occhi e l’incoscienza di chi non conosce né il mondo né la vita. Indipendenza e meraviglia sono cose che ho sempre cercato di mantenere, è inevitabile che senta me stesso in entrambi, e viceversa.
F.R. Il mio rapporto con questi personaggi, ma anche con tutti gli altri, è quello che potrebbe avere ogni lettore della storia solo che io posso mettere l’accento su alcune espressioni o gesti. Mi spiego meglio, io ho il compito di definire i disegni e correggere “il tiro” ma voglio anche essere un lettore, proprio per fare questo passaggio con la spinta di chi, appassionato dalla storia e delle immagini, vuole che non ci siano sbavature.

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Il web ha un ruolo sempre più importante: sembra essere una via d’uscita per un mondo quale quello del fumetto che sempre rischia di chiudersi in se stesso e di divenire di nicchia, che ha mostrato negli anni di avere difficoltà nel creare nuovi lettori attraverso la tradizionale via della carta stampata, il web, poi, è soprattutto un trampolino di lancio per autori e progetti che attraverso la rete possono superare ostacoli importanti quali la distribuzione e la stampa e farsi conoscere . È pur vero però che il mezzo può cambiare l’opera stessa (prima ad esempio, a proposito della scelta della bicromia, Rossi ha parlato di “gradevolezza a schermo” e anche Palloni ha indicato la destinazione web come uno dei motivi), può imporre ritmi e modi diversi nella pubblicazione. Come il web influisce sul vostro lavoro?
L.P. Il web influisce su tutta la produzione di un autore in modo determinante, ormai. Vent’anni fa, senza un editore e la giusta dose di culo non potevi dire: “C’è gente che legge quello che faccio, le storie che racconto“. Oggi ti basta uno scanner e un PC dotato di wi-fi, o uno smartphone con fotocamera. Non è incredibile? Cinque minuti dopo che hai finito di inchiostrare e letterare, fai clic e tutti leggono. Certo, sullo scatto breve non c’è guadagno se non di visibilità, ma tanto l’editore medio italiano non paga o paga poco. I social network sono un appoggio importante: postare preview o tavole in anteprima funziona, attira lettori. E se c’è qualità, c’è pure riscontro e un probabile futuro guadagno. Qualità, senza citare i soliti (ultra)noti, è “Rusty Dogs” di Emiliano Longobardi, è “Sprawl” di Massimo Dall’Oglio; è “Polar” di Victor Santos, e così via. 
Se è vero quel che dice Michele Serra, cioè che “il gratuito è la porta del brutto”, allora stiamo tutti bussando alla porta sbagliata.
F.R. Il web è la naturale conseguenza del mio lavoro (almeno quello degli ultimi anni), è la soluzione più immediata e facile. E’ normale che il metodo di fruizione possa cambiare l’opera, ma potrei dirlo anche della carta stampata se il punto di partenza è, come in questo caso, la rete. Quindi noi siamo partiti pensando di creare un fumetto per la rete, con le accortezze tecniche che gli si devono, poi la stampa si adatterà.

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Quanto sarà “lungo” “Un lungo cammino” e dove ci porterà?
S.D. Dovrei riuscire a chiudere tutto tra le 120 e le 140 pagine. Ma non ci siamo imposti nessun limite. Attualmente sto sceneggiando pagina novanta. La struttura è ben definita e solida. L’intento è semplicemente quello di portarvi alla fine di una bella storia.
L.P.  Chiedete allo scrittore. Come dicevo prima: non so niente della storia finché non mi arriva la sceneggiatura. Cioè, conosco il finale, so cosa succede, ma non so quando arriverà. Immagino che la storia sia lunga come il titolo preannuncia, ma finché non vedo scritta la parola “fine”, io vado avanti.
F.R. Non ne sono sicuro, come già detto non lo decido io, ma così a naso più che altro è un’impressione una sensazione, credo e suppongo ma potrei sbagliarmi, che sarà… lungo. Ah, e ci porterà alla fine di questa storia.

Quali sono i vostri progetti futuri?
S.D. Sto imparando a disegnare. Ho iniziato un anno fa, alla veneranda età di ventotto anni. L’impegno è costante. Purtroppo ho un lavoro che non mi permette di dedicargli tutto il tempo che vorrei, ma è bene anche accontentarsi. Sto facendo un fumettino tutto mio abbastanza delirante su mammaiuto.it, “Ostello Maraviglia”. Una roba che mi piace chiamare Punk Digitale. Poi c’è “Braso” con Paolo Deplano, che è partito su mammaiuto ma abbiamo sbagliato il formato di pubblicazione. Ci orienteremo, scusandoci con i lettori, a un formato di pubblicazione simile a Un lungo cammino. Poi ho una storia cui tengo molto: “Razziofobia” che è in attesa della crescita della disegnatrice Cristina Menghi, che ringrazio per la pazienza e per voler bene a quella storia come nessun altro. Ora che sto finendo di scrivere “Un Lungo Cammino” ho già iniziato ad avere i primi flash per un’altra storia, ma è tutto ancora troppo incasinato per poterne parlare a dovere. Il più importante rimane quello di far crescere mammaiuto, insieme a Giorgio, Checco, Paolo, Ale, Lorenzo e FRNK. Far entrare nuovi autori, nuove storie e nuove sensibilità. Aumentare la credibilità dell’associazione e degli autori presenti.
L.P. Be’, ci sono “Un Lungo Cammino” e la seconda stagione di “Mooned” (la mia serie che esce ogni venerdì su Mammaiuto) da concludere; oltre alle strisce de “Il Cugino“, ho molte storie brevi da fare, e altri progetti in cerca di disegnatore; ho anche alcuni progetti da sceneggiatore avviati (uno dei quali è “The Corner“, con Andrea Settimo) e uno da disegnatore da seguire e piazzare. Ci sarebbe molto altro, ma per ora penso che basti e avanzi.
F.R. Disegnare, magari portare avanti alcuni miei progetti, provare a sperimentare qualche tipo di tecnica, pubblicare qualcosa, fare corsi di fumetto, spettacoli dal vivo, viaggiare per il mondo e magari anche nello spazio, guardare tutti i pianeti e segnare i confini dell’universo, trovare gli alieni, Dio, capire come funziona il cervello e magari anche cosa c’è dopo la morte!
Troppo?
Allora intanto segno la prima, che quella è sicura.

Si ringraziano Samuel, Lorenzo e Francesco per la loro disponibilità.

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