Le parole di papa Francesco: quante volte le abbiamo ascoltate, ne abbiamo discusso, sono state spunto di riflessione e meditazione. E quante ce ne ricordiamo con precisione, su quante vorremmo tornare a riflettere ma non ce l’abbiamo più davanti agli occhi, quante ne abbiamo assimilate con poca attenzione e quante altre ci sono sfuggite? Donato Petti, teologo e pedagogo, direttore della ‘Rivista lasalliana’, le ha selezionate e ne ha fatto un vademecum giornaliero nel libro “Buongiorno, sono Francesco. 365 giorni con il Papa”[1]. I messaggi, divisi per argomento e titolati in modo da essere facilmente identificabili, rivelano immediatamente quella particolare capacità di Bergoglio di risalire al cuore delle cose, e dimostrano l’attenzione da lui rivolta nei confronti della sfera sociale e dei problemi concreti, quotidiani; il tema trattato non è mai fine a sé stesso, ma riceve il suo carico di significato nella dimensione della sua applicazione pratica.
Proprio sui temi più attuali e “universali” vorremmo attirare l’attenzione, iniziando dalle parole illuminanti dedicate al rapporto con il denaro: “le ricchezze – spiega Francesco – possono essere strumento di salvezza e redenzione, se considerate un dono di Dio e messe a disposizione di chi ne ha bisogno”; infatti, “il cammino che Dio ci insegna non è il cammino della povertà per la povertà. È il cammino della povertà come strumento”, e “tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare gli altri”.
A proposito di attualità, Bergoglio riflette molto sulla situazione economica contemporanea: “la crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti”. È la cultura dello “spreco” e dello “scarto”, le cui vittime “sono proprio le persone più deboli, più fragili”.
Qui si colloca quello che il Papa definisce il “compito dei cristiani”: “riscoprire, vivere e annunciare a tutti la preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà” e “l’esistenza di una circolarità feconda tra guadagno e dono”. Per questo “è importante che l’etica ritrovi il suo spazio nella finanza e che i mercati si pongano al servizio degli interessi dei popoli e del bene dell’umanità. Non possiamo tollerare più a lungo che i mercati finanziari governino le sorti dei popoli piuttosto che servirne i bisogni”.
Altre parole sono dedicate al tema del lavoro, su cui Francesco si spinge ancora più nel concreto, unendo la sua voce “a quella di tanti lavoratori e imprenditori nel chiedere che possa attuarsi anche un ‘patto per il lavoro’ (…) che sappia cogliere le opportunità offerte dalle normative nazionali ed europee”, sottolineando che quella del lavoro “è una sfida che interpella in modo particolare la responsabilità delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e finanziario. È necessario porre la dignità della persona umana al centro di ogni prospettiva e di ogni azione”.
Grande attenzione viene dedicata all’importanza del dialogo, del confronto, dell’apertura verso l’altro, il diverso, e in questo contesto il richiamo alla “cultura” ricorre con determinata frequenza: “Oggi – ammonisce Bergoglio – o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o perdiamo tutti”; frase che, nella sua lapidaria semplicità, mette in mostra il suo contenuto di verità. E ancora: “Un paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica, la cultura della famiglia e la cultura dei media”.
A proposito di media, papa Francesco non manca di elencare quelli che ne definisce i “peccati”: disinformazione, calunnia e diffamazione. Sottolineando che la più pericolosa è la prima perché “è dire la metà delle cose, quelle che sono più convenienti per me, e non dire l’altra metà. E così, chi vede la tv e sente la radio non può fare un giudizio e completo, perché non ha gli elementi e non glieli danno”.
Uno sguardo particolarmente premuroso è dedicato alle categorie più deboli della società; anche qui la sacralità del singolo individuo è sempre ribadita con fermezza: “Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri. Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più”. Ci sono poi i disabili, “carne di Gesù”, e i detenuti per i quali, oltre al rispetto dei diritti fondamentali, occorre “un impegno concreto delle istituzioni in vista di un effettivo reinserimento nella società. Quando questa finalità viene trascurata, l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e per la società”.
Gli argomenti non si esauriscono qui: si potrebbe parlare ancora a lungo dei giovani, gli “artigiani del futuro”, di ecologia, intesa come responsabilità nei confronti del Creato, di mafia, ai cui uomini e donne Francesco rivolge un appello, ricordando inoltre la figura di don Giuseppe Puglisi. Oppure delle tante modalità di esplicazione della solidarietà e della condivisione, della già accennata “cultura dell’incontro”.
Nella loro immediata semplicità, i messaggi di papa Francesco sono importanti anche perché ci riportano al linguaggio proprio della autentica tradizione cristiana che, dai Padri della Chiesa, sull’esempio della scrittura biblica, abbandona i modelli ricercati della retorica classica per proporre una lingua volutamente scarna, in cui quello che deve risaltare è il “contenuto” e non la forma. Nella consapevolezza che un concetto profondo è sufficiente a imprimersi nelle coscienze senza bisogno di artifici comunicativi: la verità dovrebbe essere bastevole a sé stessa. Un linguaggio a cui non siamo più abituati, soprattutto nel regno dell’inconsistenza comunicativa della sfera pubblica, in cui lo slogan è diventato più importante del messaggio e si supplisce alla mancanza di contenuti con abilità affabulatorie di personaggi che tanto avrebbero da imparare dalla profonda semplicità – e sincerità – di papa Francesco.
Marco Cecchini
[1] Il libro è in distribuzione dall’8 dicembre con diversi quotidiani: Il Resto del Carlino (Emilia Romagna), La Nazione (Toscana e Umbria), Il Giorno (Lombardia), Il Tempo (Lazio), La Gazzetta del Mezzogiorno (Puglia e Basilicata), Il Giornale di Sicilia (Sicilia), La Libertà di Piacenza, L’Arena di Verona, Il Giornale di Brescia, Il Giornale di Vicenza.