Rodrigo Plà è senza dubbio il massimo che il cinema contemporaneo made in Uruguay possa offrirci.
Passato sotto le luci della ribalta con La zona (2007), nel 2012 il suo The Delay è stato scelto come portabandiera dell’Uruguay per ambire all’Oscar come Miglior Film Straniero. Nel 2015 approda al 72esimo Festival di Venezia, nelle file della sezione Orizzonti, con Un monstruo de mil cabezas, dramma della disperazione di una donna disposta a tutto pur di curare il marito malato di un tumore che lo sta letteralmente divorando…
Lo sguardo di Plà è tra i più autoriali del panorama cinematografico sudamericano. Mai un’inquadratura banale, fotografia nitida, atmosfere tese. Un monstruo de mil cabezas affascina, ammalia sequenza dopo sequenza, ma più per le scelte registiche che non per la storia raccontata. E a lungo andare si ha l’impressione che Plà abusi di sè, compiacendosi, vanitoso, di quanto fa e di come lo fa.
Il troppo, si sa, stroppia e Plà rimane inconsciamente vittima e prigioniero di se stesso. Colpa di troppe riprese giocate con gli specchi, Plà rischia di fare la fine di Narciso, il quale, specchiandosi nel lago, finì per cascarci dentro. Sia chiaro, Un monstruo de mil cabezas è un bel film, denso, che certamente colpisce chi apprezza i registi dotati di grande personalità. Ma Plà (e credetemi che mi duole dirlo), si smarrisce un po’, finendo per guardare troppo il proprio ombelico e troppo poco quello dello spettatore.
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