Nel 2007, dopo aver trascorso per 9 anni di fila il Natale in quel di Clifton Park, paesazzo a tre ore da New York City, decisi di tornare a Pescara per trascorrere il Natale nella mia terra con la mia famiglia. Mio padre compiva 70 anni il 23 dicembre, così presi due piccioni con una fava…Ecco come andò
14 Dicembre 2007
Arrivo a Fiumicino, treno fino a Tiburtina e autobus per Pescara. La corriera parte con 3 ore di ritardo; di li a poco scoprirò il perchè. Neve a manetta!!! Una nevicata che non si vedeva da anni. Risultato? Bloccato ad un casello autostardale nell’aquilano per 2 ore in attesa che pulissero le strade. La neve scendeva copiosa e sull’autobus non avevo più niente da fare. Avevo già letto la Gazzetta e Focus (puntualmente comprati appena sceso dall’aereo). Il telefonino non funzionava. Mi metto a parlare con un ragazzo. Scopre che vengo da New York e come al solito, in queste occasioni, la reazione è ” Davvero!!! Figo!”. In cuor mio avrei voluto dirgli “figo sto’ cazzo!”, ma lo lascio gasare. Almeno ammazziamo il tempo. In una pausa fra una chiacchiera e l’altra, sento un’odorino familiare. “No! Non ci credo!”, dico fra me e me. Ebbene sì! Stava squagliando… Mitico!!!! Una canna nel bel mezzo di una tempesta di neve fra le montagne d’Abruzzo! Non mi sembrava vero..Che ritorno! Scendiamo dall’autobus e iniziamo a fumare. La pace. I rumori attutiti dalla neve che copriva tutto, la sensazione di leggerezza che accompagna una buona fumata e come contorno lo splendore del Gran Sasso. Faceva un freddo della Madonna, ma stavo benissimo. Finalmente si riparte. Arrivo alla stazione Centrale di Pescara, dove ci sono “mama’ e papa’” ad attendermi. Baci, abbracci e un’occhiata, quasi di nascosto, per cogliere i segni dei giorni che passano sul volto dei miei. Mi piace pensare che quando torno regalo loro qualche mese di vita in più, che vanno a compensare quelli che perdono quando sono lontano.
Arrivare di notte in una Pescara tutta imbiancata è una visione stupenda. Poche macchine in giro, gli addobbi lungo il Corso, i lampioni che emanano una luce molto più delicata e diffusa. Poi in auto a casa, direzione colli. Saliamo su per Via del Santuario con i suoi pini che nel tratto che va dal Palazzo Belvedere all’ex stazione di polizia formano quasi un tunnel. Il profumo dei pini. Che bello. Ogni volta che torno me ne vado alla Pineta per farmi una camminata. Raccolgo sempre qualche ago di pino dal terreno. Li spezzetto fra le dita e poi li annuso mentre continuo la passeggiata. Manco fossi un cocainomane. Aromaterapia allo stato puro!
Arivo a casa e ad accogliermi altri profumi. Mi mamma ha cucinato, anche se sapeva benissimo che sarei tornato tardi. E’ già apparecchiato. Mi hanno aspettato per mangiare insieme. Ci sediamo ai soliti posti. Al “figliol prodigo” è riservato quello dal quale si vede meglio il televisore. Un bel bicchiere di montepulciano, qualche fetta di Pecorino De Remigis e la mitica parmigiana di mamma. Il mio piatto preferito. Non il tipico spuntino di mezzanotte. Ma chi se ne frega!!! Come dico in quelle occasioni “ma quand’ marcapit’!” E vai! Panza piena e nanna, nella mia “cameretta”. Lenzuola pulite e stirate, che quando ti ci infili, quasi quasi ti dispiace. La stanchezza c’è, ma resto con gli occhi aperti ancora per un po’…Vorrei che certe giornate non finissero mai.
Giorno di Natale 2007
Dopo una vigilia passata con gli amici e la Messa di mezzanotte dai Gesuiti, la tradizione vuole così e io mi adeguo con piacere, mi sveglio la mattina di Natale verso le dieci.
La prima cosa che mi colpisce è il profumo proveniente dalla cucina. Quando si manca da un luogo per tanto tempo, ciò che si risveglia ogni volta vi si torna è l’olfatto. E’ incredibile quanto certi profumi si fissino nella memoria. Mi alzo quasi in trans e mi lascio guidare dal naso. Ad ogni passo e come se facessi un viaggio nel passato. Un vero e proprio bombardamento emotivo. Erano nove anni che non risentivo quegli odori. Il sugo di carne che verrà usato per il timballo. L’agnello condito con rosmarino (rigorosamente colto dalla “fratta” dietro casa), l’alloro, l’aglio, il vino bianco, pepe, olio extravergine di oliva e patate. Arrivo nel retrocucina e trovo mia mamma con il grembiule indaffarata . Il rumore della televisione ha coperto I miei passi. Non dico niente e per qualche secondo la resto a guardare. Con tutto quello che ha passato sta’ donna, mi chiedo dove trovi la forza. Mi avvicino e l’abbraccio da dietro sorprendendola. Lei si gira e la bacio in fronte. Le sue labbra si distendono in un sorriso dolcissimo, pieno d’amore. In quell’espressione mi sembra di rivedere la ragazzina delle foto in biancho e nero che sono custodite nel comò della sua camera da letto.
Come al solito mi avvento su ciò che e’già pronto e mi becco il primo cazziatone. “Non mettere il pane nel sugo che poi ci restano le molliche!!!” sbotta con tono seccato. “Non ti preoccupare ci sto attento” le rispondo. Le vengono i sensi di colpa per avermi rimproverato e mi dice “Prenditi la carne del sugo, fatti un piattino”. Sottolineo che sono le dieci del mattino ma, come detto, prevale la filosofia del “ma quand’ marcapit’!” Quindi, colazione leggerina a base di carne del sugo…ma vieniiii!!!
Mi metto una tuta ed esco. Mio padre, sveglio già dalle 6 per aiutare mia madre, è indaffarato fra garage e orto. Sta sempre ad aggiustare qualcosa. Da testa di cazzo che sono, gli faccio il solito scerzo. Mi nascondo dietro il garage e comincio ad abbaiare. Lui esce tesissimo con una mazza in mano. Mi vede e mi saluta con un meritato “ma vaffangul’!’” seguito da un abbraccio e un bacio. A quel punto gli chiedo cosa stia facendo e offro il mio aiuto. Si finisce sempre a parlare della casa, di politica e di calcio. Ma il mio argomento preferito, sono le sue storie di quando era in marina. Ha girato tutto il mondo. E’ stato perfino per sei mesi alle Hawaii. Le storie su quel periodo sono sempre le più pepate. Mia mamma, infatti, le odia! Ma che ci volete fa’, aveva 21 anni e stava alle Hawaii…“ma quand’ jarcapit’! Mio padre inizia sempre con un “forse te l’ho già raccontato” io naturalmente dico “no, forse…” . Gia’ le conosco tutte le sue avventure, ma mio padre ha la capacità di raccontarle sempre in modo diverso, aggiungendo o togliendo, mettendo l’accento su un particolare piuttosto che un altro. Mi piace anche quando parla di mio nonno Vittorio. Originario di Pianella, paesino nella provincia di Pescara, è stato sposato tre volte e ha dovuto assistere alla morte di tutte e tre le mogli. Tempi duri quelli del nonno. Faceva il giardiniere a Villa Sabucchi a Pescara, era analfabeta ma conosceva tutti i nomi delle piante e dei fiori in latino. Poche lire, ma almeno un tetto per dormire quel lavoro l’assicurava. La seconda moglie, la madre di mio padre, morì pochi mesi dopo aver dato alla luce Aldo (mio padre) per una polmonite mal diagnosticata. Raccontamia zia Gilda che il nonno Vittorio, accecato dalla rabbia per quella assurda morte, stava per ammazzare il dottore. Lo aveva letteralmente appiccicato ad un muro e lo voleva strangolare. Lo fermarono giusto in tempo. Fra una storia è l’altra è arrivato il mometo del pranzo. Mi vado a cambiare. Abiti stirati alla perfezione da mia madre. Che lusso. da quando vivo a New York, avro’ stirato si è no 3 volte. Nel frattempo arrivano i parenti: la zia Gilda, lo zio Renato, i miei cugini Claudio e Patrizio e lo zio Pasquale. Aiuto mia madre ad apparecchiare. In queste occasioni divento il suo braccio destro. E’ lei che mi ha inculcato la passione per la cucina. Mi rilassa tantissimo stare fra i fornelli, possibilmente con un bicchiere di Montepulciano e una sigaretta e perchè no, un po’ di bella musica. Mia zia ha portato le paste prese da Marzoli, ( quello vicino alla Madonna dei Sette Dolori), i miei cugini hanno portato il torrone, il pandoro e lo spumante, mio zio Renato, come al solito, non ha portato una mazza. Baci, abbracci, auguri e poi tutti a tavola. Mia madre seduta alla sedia più vicina al retrocucina, in modo da riuscire a tenere sempre sott’occhio la situazione. L’agnello e’ancora in forno, ma il profumo permea tutta la casa. Il menu prevede: brodo con le pallottine e il cardone, cannelloni, timballo, carne del sugo (quella che è avanzata dalla colazione) agnello al forno con le patate, cacio e ov’, costolette d’agnello impanate e fritte. Da bere Mondepulciano, naturalmente. Poi frutta e dolci a manetta. Mia mamma ha fatto pure il tiramisù. A tavola si scatena la discussione politica. Io mi godo la scena e ogni tanto intervengo. Ma più che altro ripenso a tutti i Natali che ho trascorso in quel di Clifton Park, nell’Upstate New York, dai miei suoceri. Bei natali anche quelli, per carità. Il menu (ve lo risparmio) era fisso e lontano anni luce da quello di mia madre. Alla fine del pranzo, uscivo di casa per fumarmi una bella sigaretta. Freddo della Madonna anche qui, ma scenario totalmente diverso. Una fila di case tutte uguali, con il giardino, il garage, la bandiera Americana appesa all’ingresso. Io fuori a fumare al buio. Nessuno per strada. Nemmeno una macchina. A farla da padrone sono le stelle, quando si vedono.
E in quei momenti, rivolgevo gli occhi al cielo e mi chiedevo “Chissa’ dov’è l’Abruzzo? Ma chi cazzo me lo doveva dire che avrei passato il Natale in questo paesazzo?” Poi partiva un sospirone e una lacrimuccia. Rospetto in gola, schiarita di voce, uno sguardo allo specchietto retrovisore della macchina dei miei suoceri parcheggiata nel vialetto per controllare che il mio volto non lasciasse intravedere i segni della malinconia. Sorriso di plastica e via dentro a scartare i regali con la mia terra nel cuore.