Mi piacerebbe una Giornata della Memoria in cui nessuno sia più costretto ad ascoltare sempre le stesse storie, e a guardare sempre le stesse immagini. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che non rimanga imprigionata nel passato, mi piacerebbe una Giornata della Memoria che esca dalla storia personale, quella che strappa le lacrime e i singhiozzi. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria un po’ meno imbellettata, senza medaglie, divise e squilli di trombe. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che non sia soltanto una lugubre kermesse artistica, con sottofondo di violini. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che non rifugga in citazioni.
Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che consideri Auschwitz, Mauthausen e Dachau come semplice scenografia del male, e non come origini di tutti i mali, né come santuari di purificazione. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che parli un po’ meno di negazionismo e un po’ di più dell’uomo, che esso sia ebreo, cristiano, musulmano, armeno, congolese o tibetano. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che parli con meno poesia, e con più schiettezza. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che non rimanga soffocata in una fetta di Storia.
Mi piacerebbe una Giornata della Memoria destinata a scomparire, nel momento in cui non si abbia più bisogno del nodo al fazzoletto. Mi piacerebbe una Giornata della Memoria che scenda dal piedistallo e che deponga i timbri austeri, mi piacerebbe una Giornata della Memoria che non si imponga più con quell’aria da Giudizio Universale, come per dire: «Guardate chi sono i carnefici, e ricordiamo chi sono le vittime». Così, come se fosse sempre tanto facile riconoscerlo.