La Grecia reale non è quella che immaginiamo, che abbiamo costruito nei secoli sui libri. Già nell’Ottocento i Filelleni europei andarono a combattere per la libertà di un paese che non riconoscevano, ma anche a noi oggi capita di non identificare nelle vestigia del passato greco la grandezza di Eschilo e Sofocle, Platone e Demostene. Non la troviamo perché spesso in rovina o obliterata da ricostruzioni romane, ma soprattutto perché il nostro immaginario non ha ancora assimilato l’evidente verità che quella grandezza è frutto di un senso estremo della misura. Misura conquistata a fatica, col tempo, individuando le proporzioni più armoniche nelle architetture come nelle arti figurative. Misura che non ha mai osato sfidare la natura ma ne ha tratto rispettosa ispirazione: ha voluto conoscerla in ogni particolare ma senza privarla dell’aura sacra che le compete, per immergersi poi e diventare tutt’uno col paesaggio. Ecco, se si prova a leggere il paesaggio greco con gli occhi e le parole degli scrittori antichi, a calcare la rocciosa terra così come l’hanno calcata loro, si troverà quella corrispondenza che a volte i monumenti isolati possono tradire. In Grecia più che altrove, è il tutto a parlare più dei singoli elementi che lo compongono. Se si apre lo sguardo al tutto, il viaggio in Grecia non deluderà mai.
È l’invito di Giuseppe Zanetto, grecista della Statale di Milano, in un libretto che si aggiunge alla lunga lista dei diari di viaggio nell’Ellade ma lo fa in un momento propizio in cui, invece che disertarla come pare accadere, bisognerebbe anzi frequentare ancor più e aiutare quello che abbiamo eletto a nostro luogo dell’anima. Zanetto non sceglie luoghi particolari ma i più noti, in ciascuno individua un punto di vista, e trasforma il paesaggio davanti ai suoi occhi nella scena di eventi storici, mitici, letterari che acquistano così senso e vita. Non si potrà mai capire perché Eumeo nell’Odissea dice che la natia Skyros sta “là dove c’è il giro del sole”, se non si è visto tramontare il sole da Mykonos proprio dietro l’isola di Skyros. Ed è bello vagar per la Messenia sulle orme di Nestore, sia il giovane pieno di ardore che l’anziano saggio signore di un luogo, Pilo, dove ancora oggi si può vivere una sorta di immersione nel sacro. Mentre spaventa passare sotto la porta dei Leoni di Micene pensando a quando la varcarono Agamennone e Cassandra, forse consapevoli della fine che li attendeva. “La scena (di Eschilo) è pensata qui” azzarda Zanetto. Che guarda Atene dal Filopappo per coglierne con lo sguardo la topografia dal Pireo fino a nord a Colono, e va poi alla Pnice e all’Areopago che sono i luoghi-simbolo della democrazia ironicamente frequentati da pochi, e da lì ricostruisce la profonda integrazione spaziale tra il governo della città, il sacro sull’Acropoli e il mercato profano giù nell’agorà. Inciampa un po’ quanto descrive il sublime paesaggio montano di Vasses che purtroppo è da qualche anno rovinato dall’enorme tendone protettivo del tempio, ma è peccato da poco (e merita ricordarlo senza tendone).
Franco Sartori, rigoroso e lucido storico del mondo antico, soleva cominciare gli esami all’Università di Padova mostrando una cartina muta della Grecia antica e chiedendo l’ubicazione di città, villaggi, monti, fiumi. Chiedeva di spiegare il paesaggio: se non lo spiegavi non cominciavi neppure l’esame, e tutti ne erano terrorizzati. Io non troppo perché ho sempre avvertito il bisogno di collocare gli eventi nello spazio e capirne le dinamiche sul terreno, prima che sulla carta. La geografia di un luogo dice moltissimo del popolo che lo abita, ma il nostro immaginario nato sui libri è spesso troppo pigro per passare alla realtà. Zanetto invita addirittura ad aggiungere suoni, luci, rumori e odori a spazi e prospettive. E la monocromatica carta di Sartori si riempie di colori.
Effe
Giuseppe Zanetto, Entra di buon mattino nei porti, Bruno Mondadori, Milano, pagg. 176, € 16