[QUATTRO]
CINQUE
Cesare fissò a lungo la pioggia che scendeva fuori dai vetri della camera da letto. L’esterno gli appariva compresso, stritolato dalla mole d’acqua che veniva giù. Senza più un fuori al quale rapportarsi, l’interno della sua abitazione gli sembrò più intensamente vivo. Sentiva le pareti respirare, il corridoio risuonare di passi e, provenienti da un altrove indefinibile, sussurri che chiamavano il suo nome.
Eppure lì, oltre a lui, non c’era nessun altro.
Andò in cucina e mise ad abbrustolire due wurstel sopra una bistecchiera. Scostò una sedia dal tavolo e ci crollò pesantemente sopra. Fece il numero di Anna. Il telefono squillò a lungo finché Mimì aprì la conversazione con un “pronto?” squillante.
I minuti passarono e la tensione di Cesare lasciò il posto a un languore che somigliava al ricordo che gli restava della felicità.
Si sentì stanco. Finita la cena, lasciò pentole e stoviglie nel lavandino e andò a coricarsi prima del solito.
A luce spenta, gli occhi stentarono a chiudersi, temendo di incappare per la quarta notte nel solito sogno. Ma, alla fine, fu vinto dall’oscurità.
L’umanità straziata dalla disperazione, da un lato, e il dovere di mantenere inviolata la porta d’accesso al Presidente, dall’altro, avevano aperto uno strappo che Cesar attraversò senza ricucire, fuggendo lontano così come si trovava, nudo e imprudente.
Il vento della Storia cambiò di colpo direzione, e la rivoluzione aprì una notte le sue danze, nel fragore infernale di una discoteca di moda, per l’appunto.
Lei era giovane e in possesso di tutte le prerogative che l’avrebbero facilmente ascritta ai frequentatori abituali, ma un occhio attento avrebbe notato che non apparteneva a quell’ambiente. Da come si muoveva guardinga, dalla prolungata mancanza di compagnia, dall’avvicinarsi per piccole tappe al tavolo riservato al Ministro e alle sue guardie del corpo. Ma quelli ormai ne avevano bevuto uno di troppo, e mantenevano con crescente difficoltà la concentrazione necessaria al loro compito.
Quanto a Cesar, fu l’unico ad averla puntata da lontano. E non si stupì quando gli passò accanto, anzi, rallentò la respirazione, come se con essa potesse rallentare il tempo, e vedere quel fianco fasciato da una gonna di pelle nera, sfilargli accanto con la morbidezza del ralenty.
Lei gli disse in un soffio:
- Ci sarà un’esplosione.
chinandosi a raccogliere la borsetta cadutale da sotto il braccio, che anche lui si era precipitato ad afferrare.
Il ministro, nella sua lecita serata di riposo, non ebbe ritegno nell’incrociare le proprie dita sopra quelle di lei durante l’operazione di recupero. Con l’altra mano, le sollevò il gomito per aiutarla a risollevarsi. La giovane, come se niente fosse, riprese a parlare mentre controllava il contenuto della borsa.
- Poi, entro un quarto d’ora dovrai essere all’eliporto, prendere o lasciare.
Finalmente sollevò lo sguardo e recitò la parte da professionista. Si dimostrò sorpresa di riconoscere l’uomo pubblico, aprì l’espressione e, per una manciata di secondi, avvolse Cesar in un enigmatico sorriso.
Lui ne comprese il senso e rispose col suo ghigno di cortesia, ma si ritrovò senza la propria parte del copione quando affiorò un secondo strato a staccare alla donna il trucco da sopra la facciata. Uno sguardo, spontaneo, umano, pudico, al quale restò impigliato al punto da non potersene staccare.
La messaggera aveva trasmesso un’offerta di riscatto, il ringraziamento del gruppo per tutte le preziose informazioni date nelle ultime settimane. Prendere o lasciare. Lui prese tutto ciò che gli veniva offerto in quel momento. Offerta inaspettata, a dispetto del periodo già del tutto insolito. Qualcosa di speciale.
La invitò a ballare, dopo aver gettato un’occhiata in cagnesco ai gorilla, scattati in direzione della donna.
Calma. Stava solo cogliendo un’opportunità di conquista, offerta da una bella ammiratrice.
Accennarono a pochi passi discordi, poi presero un ritmo comune. Lei si lasciò cingere la vita e la pantomima prese le forme di un ondeggiamento leggero. Attorno a loro si formò un circolo vuoto, la sala sembrò spalancare le pareti, le luci colorate offrirono a entrambi una scusa per far crescere il rossore.
Lui sbirciava di sottecchi l’intorno e quasi non la guardò per l’intera durata dell’improvvisata danza. Ma le parlava ugualmente, attraverso la calibrata pressione delle dita sul vestito. La donna non reagì subito ma quando, in un sussurro, si scusò e gli sorrise ancora, nell’alzare gli occhi su di lui gli affilò sul collo il profilo dell’unghia, per poi dileguarsi in fretta nel buio oltre la pista.
Cesar tornò a sedersi vacillando. Una lama gli era penetrata nel cervello.
Da quel momento in poi, il senso logico degli eventi prese a sfuggirgli. Iniziò a vivere come osservando sé stesso dall’esterno.