di Michele Marsonet. Nell’ultimo decennio del secolo scorso alcuni analisti predissero che il crollo dell’Urss, con la conseguente fine dell’ordine mondiale bipolare, avrebbe prodotto più guai che benefici. Vennero accusati, al tempo, di essere profeti di sventura, incapaci di capire che la libertà era ormai in marcia ovunque, inarrestabile. E la tesi della “esportazione della democrazia” divenne uno slogan di successo, al quale tanti in Occidente credevano.
Non c’è voluto molto per capire che i pessimisti avevano ragione. Dopo essere rimasti per parecchi anni l’unica superpotenza globale sulla piazza, gli Stati Uniti hanno cominciato a perdere la bussola e, con la presidenza Obama, non sembrano più capaci di esprimere a una politica estera seria e coerente.
E’ inutile, per esempio, chiedersi quale dei due oceani – Atlantico o Pacifico – sia più importante nella nostra epoca. Lo sono entrambi. Solo che gli americani appaiono in grande difficoltà su una sponda e sull’altra.
In Estremo Oriente la Cina può ormai permettersi di ignorare gli ammonimenti che provengono da Washington, controllando una buona fetta dell’enorme debito pubblico Usa. A preoccupare Pechino è, caso mai, il Giappone che si sta velocemente riarmando sull’onda di un ritrovato nazionalismo. E i cinesi, memori dei continui rovesci subiti nella seconda guerra mondiale, sanno benissimo che ai nipponici è difficile imporre qualcosa.
Spostandoci a Ovest, la minacciosa crisi yemenita dimostra una volta di più che nella capitale americana regna attualmente una grande confusione. Dopo aver fatto la voce grossa con Assad, gli Stati Uniti sono poi tornati sui loro passi ammettendo che il dittatore siriano può essere un utile argine all’espansione dell’Isis, e hanno inaugurato una politica – prima impensabile – di avvicinamento all’Iran.
Questa mossa ha fatto infuriare i tradizionali alleati arabi, e soprattutto Arabia Saudita ed Egitto. Qualcuno in America ha forse scordato che in tale mondo l’odio profondo tra sunniti e sciiti prevale su ogni altro fattore. Il risultato è che gli Usa cercano l’appoggio dell’Iran sciita in Iraq e Siria, mentre in Yemen sembrano sostenere la coalizione sunnita messa in piedi in breve tempo dai sauditi per combattere i ribelli sciiti. A questo punto non si capisce nemmeno se Arabia Saudita, Emirati e Qatar continueranno a fiancheggiare i raid americani in Siria e Iraq, visto che gli aerei da guerra “sunniti” sono massicciamente impegnati nel nuovo teatro di operazioni.
Se ora ci trasferiamo nell’Europa orientale, prosegue a tutta forza la politica del muro contro muro con la Federazione russa. Putin, continua a ribadire Obama, dev’essere punito per la Crimea. Quindi nessun freno all’espansione Nato a Oriente con l’appoggio entusiastico di Polonia, Paesi baltici e la parte anti-russa dell’Ucraina. Una situazione quanto meno strana poiché neppure gli Stati Uniti, pur con la loro enorme potenza militare, possono sperare di conseguire successi contemporaneamente in parti del mondo così distanti tra loro.
Si noti ancora che, con lo scoppio della guerra in Yemen, il califfato sembra relegato nello sfondo. Prima era venduto come il pericolo più imminente, addirittura mortale. Ora non se ne parla quasi e altre priorità sembrano prevalere.
Che dire di una politica estera che appare – e forse è – schizofrenica? Finiti i tempi in cui bastava, dopo un po’ di pretattica, sedersi al tavolo con i sovietici per calmare le acque, di questi tempi gli Usa si vedono snobbati dagli alleati più tradizionali in pratica ovunque. Tant’è vero che persino Francia, Germania, Regno Unito e Italia, a dispetto dell’ostilità di Washington, sono subito saliti sul carro cinese quando Pechino ha proposto di dar vita a istituzioni economico-finanziarie in concorrenza con quelle – a predominio americano – fondate dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Non si vedono, d’altro canto, segni di un’eventuale ripresa dell’influenza Usa nel mondo. Per molti non si vedranno finché Obama resterà alla Casa Bianca, ma dubito che tutte le colpe si possano scaricare sull’attuale Presidente. La verità è che l’America è assai meno sicura di sé di quanto fosse un tempo. Non ha più un solo grande avversario con cui confrontarsi, bensì una miriade di nemici (o di presunti amici) che fanno il loro gioco senza remore.
E’ una situazione pericolosa soprattutto per l’equilibrio globale. I deterrenti paiono sempre più deboli e i conflitti, anche ad alta intensità, si moltiplicano senza posa. L’ombra della “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”, evocata da Papa Francesco, rischia purtroppo di diventare realtà concreta.
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