Da Genova a Los Angeles, tra cinema, teatro e scrittura. Sceneggiatrice, regista e insegnante: artista a 360°. Per noi è un onore potervi presentare l’autrice di Marilyn, gli ultimi tre giorni, e-book in uscita il 16 dicembre per Kymaera Edizioni: la nostra conterranea Elisabetta Villaggio.
Elisabetta Villaggio: un’artista a 360 gradi che studia a Bologna, si perfeziona a Los Angeles e si ferma, infine, a Roma. Di Genova, la tua città natale, cosa ti è rimasto?
Mi è rimasto l’amore per il mare, infatti un giorno mi piacerebbe andare a vivere in un posto con il mare davanti. Mi manca la focaccia, sia quella classica che quella con il formaggio di Recco. Mi è rimasta una certa riservatezza, puntualità e correttezza dei genovesi.
Perché un’opera su Marilyn Monroe? Perché proprio lei?
È una donna che mi ha sempre affascinato. Nata povera, senza aver mai conosciuto il padre, con una madre con problemi mentali che finirà in manicomio. Marilyn è cresciuta tra orfanotrofi e famiglie adottive, eppure ha sempre lottato con tenacia per migliorare la sua vita, per scegliere. Questa sua tenacia, questa voglia di non arrendersi mi hanno conquistata.
Sulla scomparsa di un’icona così rappresentativa, tutto si è detto e tutto si è scritto. Suicidio o omicidio politico organizzato? Cosa ne pensa Elisabetta Villaggio? Cosa successe, in quella maledetta notte di inizio agosto? La tua opera sembra assumere un punto di vista ben preciso.
Non credo che si sia uccisa. Non si è suicidata ingerendo pillole perché non aveva quei tipi di segni sul corpo. Senza entrare nello specifico delle prove, che sono ampiamente descritte nel testo, Marilyn stava vivendo un periodo lavorativo fortunato: aveva appena fondato la sua casa di produzione ed era riuscita a terminare le controversie con la Fox, con la quale aveva da poco firmato un contratto milionario. Però dava fastidio ai poteri forti che vedevano in quell’attrice dalle forme burrose un pericolo sia per la politica interna che per quella estera.
Ralph Greenson, psichiatra, ed Eunice Murray, governante. Due figure che, nel cinismo generale, vengono dipinte con un atteggiamento comprensivo e paziente nei confronti di Marilyn. Era davvero così?
Eunice, la governante, lavorava per lei e quindi le sarà capitato di dover subire capricci. Nello stesso tempo sapeva di avere a che fare con una persona che aveva certe instabilità. Greenson forse, senza mai ammetterlo, poteva essere innamorato di Marilyn con la quale aveva un comportamento non ortodosso in quanto psichiatra. Infatti la invitava a cena a casa sua con la famiglia o cose simili, comportamenti che i terapeuti non hanno con i pazienti.
Nel testo vengono citate anche le violenze che l’attrice fu costretta a subire da bambina. Quanto hanno influito, secondo te, sulla sua difficile e complessa personalità?
Sulle violenze subite da bambina ci sono versioni controverse. Secondo me, ciò che ha maggiormente influito sul suo modo di essere è la sensazione di abbandono e di non essere amata che ha provato fin da appena nata.
Qual è il tuo giudizio umano e artistico su Marilyn Monroe? Quant’è ampio il confine che separa la leggenda e il disagio psichico, l’oca bionda sfruttata dagli uomini e la sex symbol dall’incontenibile talento?
Io trovo che Marilyn Monroe sia stata un’attrice di grande talento. Non è mai stata un’oca bionda ma si è cucita addosso quel personaggio. In molti avranno cercato di approfittarne, sicuramente qualcuno ci sarà anche riuscito. Forse lo stesso Miller la sfruttò a livello emotivo facendole credere di essere più innamorato di quello che era. Marilyn è a tutt’oggi un mito, se non il mito dei miti. Perché ci si chiede ancora? Forse per quel misto di sensualità e infantilismo. Un corpo super sexy e un viso da bambina. Oggi il mondo si inchina a Marilyn, una donna nata sfortunata che è riuscita con caparbietà a diventare la più desiderata, la più sexy, la più ricercata e in ogni caso una delle più grandi dive di tutti i tempi. Marilyn: un nome che rappresenta un mito intramontabile.
Da quest’opera è stata tratta una rappresentazione teatrale. Raccontaci quell’esperienza.
È stato interessante anche se faticoso perché ci si confronta con un mito, si percorrono strade dove si sostiene una tesi che non può essere dimostrata. Ho letto e ascoltato tantissime interviste e deposizioni oltre a vari libri per cercare di essere il più attendibile e veritiera possibile.
Cosa ti aspetti dalla pubblicazione in digitale del tuo lavoro?
Sinceramente non lo so, però sono molto curiosa.
Qualche parola sulla tua ultima opera, Una vita bizzarra
È un romanzo che racconta una lunga amicizia. Rosa è una bambina di dieci anni che arriva nel 1969 dal Veneto a Roma dove i genitori hanno trovato lavoro come portinai. Benedetta è figlia di un noto psichiatra e vive all’attico. Rosa e Benedetta diventano subito amiche per la pelle. Rosa così comincia a fare i primi passi in un mondo a lei sconosciuto, dove la cultura, la raffinatezza e quella vita elegante sono ben lontani dalla tristezza della sua povera casa del portierato. Con Benedetta, Rosa passa tutta la sua adolescenza, il motorino, i primi baci, le prime feste in un periodo effervescente e denso di cambiamenti che si trasformeranno ben presto in eroina e scontro politico, tutto con lo sfondo di una Roma anni ’70 prima e poi quella degli anni ’80. Dopo una serie di fatti tragici le due amiche si dividono. Rosa abbandona Roma per Londra e lascia dietro di sé tutto quel che di negativo c’era stato nella sua vita. Dopo vent’anni, quando le loro vite avranno preso una piega diversa e i loro ruoli si saranno capovolti, Rosa e Benedetta si incontreranno nuovamente per scoprire se l’amicizia di un tempo esiste ancora.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Al momento sto portando a teatro Io sono Virginia, un reading su Virginia Bourbon del Monte, la madre di Giovanni Agnelli.
(Intervista a cura di Daniele Pollero)