Quando il sabato lavoro torno a casa con il treno delle 13.00 che parte generalmente dal primo binario della stazione di Bolzano. A quell’ora purtroppo tornano anche moltissimi studenti che la mattina scendono dai paesi della Valle Isarco e dalle zone limitrofe. Si tratta di una massa compatta, abbigliata tutta allo stesso modo, perlopiù indaffarata a scrutare dentro quei due o tre tipi di smart-phone che il feroce battage pubblicitario non ha fatto fatica ad imporre. La maggior parte di loro è di lingua tedesca (parla cioè dialetto). Ci sono anche alcuni italiani, peraltro all’apparenza indistinguibili dagli altri ed equipaggiati con i medesimi strumenti tecnologici. Quando arriva il treno, la massa diventa ancora più compatta, si stringe, si schiaccia quanto più possibile vicina al binario, e cerca d’intuire dove si fermerà il convoglio per posizionarsi in prossimità di una delle entrate. Quando finalmente il treno si blocca e le porte si aprono, ecco che la massa cerca di salire puntando a non scomporsi più del necessario. Tutti si spingono, scalciano, ridono, issano a forza i loro corpi su per le scale d’accesso e, una volta sopra, si riversano correndo negli scompartimenti per occupare tutti i posti disponibili. Ogni volta che mi tocca assistere a questo spettacolo deprimente mi vengono in mente quei politici che vorrebbero concedere il diritto di voto ai sedicenni e capisco benissimo quello che ciò potrebbe significare.
Stamani è andata abbastanza bene e sono riuscito a trovare un posto libero. Mi sono seduto e ho cominciato a leggere un articolo di José Ignacio Torreblanca, pubblicato nel settimanale Internazionale, intitolato “Piccoli stati crescono”. Un articolo che parlava di secessionismo, insomma. Abbastanza interessante, anche, ma entrati nella prima galleria mi sono addormentato. E allora ho cominciato a sognare.
Nel sogno m’immaginavo di essere stato invitato a una discussione pubblica sul tema dell’autodeterminazione sudtirolese (la serata aveva un titolo: Autonomie, Vollautonomie, Freistaat). Faceva freddo. Eravamo a Merano. C’ero io, c’era un certo Lorenz Puff (rappresentante bolzanino del movimento Süd-Tiroler Freiheit) e il mio amico Markus Lobis, che faceva il moderatore. L’ambiente in cui eravamo era strano. Sembrava un bar, ma non era proprio un bar. Piuttosto un club alternativo (si fa per dire, alternativo) di sinistra. La stanza nella quale avrei dovuto parlare era buia, alcune persone erano già sedute e ognuna teneva in mano un bicchiere di vino o una bottiglia di birra. La cosa buffa era che mi sembrava un luogo noto, da me frequentato in una vita precedente. Poi ho sognato che anche lì mi addormentavo. Cioè: mentre discutevo dormivo. E mentre dormivo discutevo. Non posso quindi essere sicuro di quello che ho sognato di dire. Probabilmente una serie di frasi senza senso, di filastrocche, di giochi di parole infantili. Ma neppure il mio interlocutore deve aver brillato, perché a un certo punto (questo invece lo ricordo nitidamente) uno del pubblico si è alzato e gli ha detto: “insomma, voi non proponete nulla di concreto, la vostra offerta politica è un pacco vuoto, non siete neppure in grado di decidervi sul tipo di carta per avvolgerlo, però è sicuro che dentro quel pacco non c’è nulla, il niente più assoluto”. Al che il povero Lorenz Puff non riusciva a replicare e ripeteva balbettando, con gli occhi a terra, “I bin a Tiroler… a Tiroler… I bin lei a Tiroler…”.
Fortuna che mi sono svegliato in tempo per scendere alla mia fermata.