Lauriston park è tutto quello che da piccolo ho desiderato. Una enorme distesa verde, qualche albero e tanta gente che pratica ogni tipo di sport. Soprattutto calcio.
Il parco di Lauriston è a due passi dalla mia stanza, ogni mattina quando esco ne percorro un lungo tratto. È uno dei posti più ventosi in cui mi è capitato di passeggiare. Al mattino il vento mi spinge, al ritorno verso casa mi ostacola un po’, ma l’incedere lento e con fatica mi fa osservare meglio il parco popolato di ragazzi.
In ogni momento ho incontrato gente che fa jogging e finché c’è luce si giocano partite di calcio. Ci sono partite improvvisate con due zaini a fare da pali per le porte, altre invece sono degne di un torneo ben organizzato.
Vedo ragazzi tracciare linee con dei mini-coni colorati e fare porte con alte stecche di plastica. Oggi, avevano addirittura una porta da calcio vera. Non mi chiedete come l’hanno trasportata. Montato il campo hanno indossato le pettorine e la partita della giornata è cominciata mentre ai lati altre due partite si giocavano e altre sarebbero cominciate.
Guardandoli giocare pensavo a quando ero piccolo. Giocavo in un campo incolto vicino al torrente, un enorme spiazzo in cui qualcuno aveva montato delle porte poco stabili (o a comprarne di vere). In tanti anni nessuno era mai riuscito a costruirne di decenti. Ora al posto delle porte artigianali ci sono due palazzi, nemmeno l’unico albero che c’era è rimasto. Niente più nespole.
Dal campo in terra battuta mi sono spostato in quello lastricato di mattonelle di porfido della piazzetta vicino casa, le macchine delimitavano il campo e gli abitanti delle case vicine ci sgridavano ogni due minuti. Sembravo arbitri che ci coglievano sempre in fallo.
Se non giocavo nella piazzetta andavo nel cortile della scuola elementare. Non andava meglio il quel caso, la forma del campo era ad L e spesso trovavamo qualche macchina parcheggiata in mezzo. Per tanto tempo abbiamo giocato anche nel campo dietro la scuola, era decente, ma poi hanno chiuso il buco nella recinzione da cui entravamo e ci toccava scavalcare un muro troppo alto. Non tutti riuscivano. Allora da piccoli migranti del pallone ci spostavano nel cortile davanti all’ex istituto agrario abbandonato. Giocavamo lì, accanto ai vetri frantumati delle porte. Un giorno, però, arrivarono gli operai per costruire un asilo e noi fummo nuovamente sfrattati.
Non era per niente facile giocare a pallone da piccoli. Da bambini a tre cose pensavamo: andare a scuola, mangiare e giocare a pallone. Ma se la scuola era un obbligo e il cibo necessario non tanto importante era giudicato il gioco. O erano gli abitanti a lamentarsi, o la preside della scuola a far chiudere il buco nella recinzione, o un cantiere prendeva il posto del nostro campo, in ogni caso noi dovevamo inventarci qualcosa e a quell’età non si hanno le competenze per proporre una variante al piano regolatore per fare spazio ad un campetto di calcio. Ad Edimburgo per i ragazzini è più facile, hanno tutti i campi che vogliono, aperti ogni ora di ogni giorno e sono pure con l’erba vera.
Ma gli amanti del calcio non sono gli unici fortunati. A Lauristono c’è chi gira in bicicletta, chi gioca a baseball, chi fa atletica, chi testa il proprio equilibrio con una fune a cinquanta centimetri da terra fissata a due alberi e chi gioca a cricket. C’è chi decide semplicemente di stendersi al sole, leggere o stare in compagnia. Insomma, lo spazio c’è ognuno decide come riempirlo. Per loro fortuna nessuno si sogna di costruirci decine di palazzi grazie ad una bella colata di cemento. Perché il problema dei bambini, che dalle nostre parti non trovano un campo dove giocare, non è dovuto alla mancanza di spazio ma a come lo spazio è stato riempito. No, lo spazio non centra, non mancherebbe. È l’idea di una città a misura della gente e non a misura di costruttore che manca e che è mancata in passato e che a quanto pare continuerà a mancare. Ma questo ve lo potrebbe spiegare meglio un mio amico ingegnere-indie.