Due notti inoltrate fa ho avuto il piacere di ricevere una telefonata anonima dall’incipit fulminante: “Tua moglie è una puttana”. Az, mi sono detto, e mi sono guardato intorno per vedere se ci fosse qualcosa o qualcuno che somigliasse a una moglie. Tolto un quadro incompiuto che potrebbe somigliarle molto, mi sono reso conto, proseguendo dall’altra parte del telefono gli insulti, che l’incipit di cui sopra era rivolto a una donna che conosco e con la quale sono stato tempo fa. A quel punto mi sono sentito in dovere di difenderne in qualche modo la reputazione anche perché non ho mai creduto né che lo fosse né che lo sia. Così le “puttane”, da una che era, sono diventate molte e l’aggettivazione ha colpito anche persone incolpevoli come mamme, nonne, sorelle, cugine e perfino qualche nipotina. Terminata la telefonata con un perentorio “vaffanculo”, mi sono chiesto chi fosse quell’imbecille con la voce artefatta che, all’una e mezza del mattino, aveva avvertito la voglia irresistibile di divertirsi con la personificazione della gentilezza quale mi ritengo di essere. L’elenco mentale che mi sono fatto è stato lungo, ma alla fine non sono venuto a capo di nulla liquidando l’accaduto come uno scherzo telefonico un po’ cafone e molto volgare. Per questa ragione ieri mattina invece del mio solito “Saturday post”, ho voluto mettere l’immagine della pioggia e la scritta “no more words”, “non ho più parole”. Il messaggio però correva il rischio di essere particolarmente criptico per cui, reduce da una telefonata in cui le puttane l’avevano fatta da padrone, ho tirato fuori una poesia di Charles Bukowski che tratta l’argomento. Apriti cielo! Il “complimento” più tenero che ho ricevuto a stretto giro di email è stato “profondamente ingiusto e inutilmente cattivo”, tanto che ho pensato immediatamente alla mamma dell’imbecille alla quale avevo effettivamente mancato di rispetto. Invece no. Fraintendere e fraintendersi sembra essere diventato lo sport nazionale, anche se questo accade quando non si ha la voglia né si avverte l’esigenza di capire. Eppure sarebbe facilissimo. Basterebbe essere se stessi e non indossare maschere. Io, ad esempio, non potrei mai indossare quella di Arlecchino perché non ho mai servito un padrone, figuriamoci due. Mentre mi si adatta molto di più quella del Pierrot di Les enfants du paradis. Questione di stile e di una sana e consapevole libidine.PS. Qualora il mio persecutore telefonico dovesse ritenere criptico e offensivo anche questo post andasse, ancora una volta, prepotentemente affanculo.





