Dopo la leggendaria campagna dei Mille tutto l’affetto e tutta l’ammirazione del popolo italiano si riversarono su Garibaldi e i suoi garibaldini. Fiorì anche una iconografia popolare che esaltava in mille guise la figura dell’Eroe e dei suoi compagni. Tutto questo diede ai nervi ai reazionari e ai monarchici, i quali cercarono di rispondere con gli insulti e le calunnie più volgari, mentre il governo, presieduto da Cavour che aveva visto a malincuore il buon successo della spedizione, cercava di vendicarsi rendendo difficile e umiliante l’entrata degli ufficiali garibaldini nell’esercito regolare. Ciò che diede origine ad una serie di scontri, sia al Parlamento che nella stampa, fra Garibaldi e Cavour e fra Garibaldi e i generali monarchici Cialdini e Fanti. Fu in questo clima che a Parma, sul finire del 1861, accadde un fatto increscioso, provocato dalla faziosità e dall’intolleranza degli ufficiali monarchici. Era allora di guarnigione nella città emiliana il reggimento di cavalleria Montebello, i cui ufficiali, quasi tutti aristocratici, prendevano i pasti nell’elegante Albergo della Posta. Uno di costoro, il duca Sforza Cesarini, appartenente a una famiglia della nobiltà clericale romana, si vide portare un piatto con sopra l’effige di Garibaldi. Apriti cielo! Immediatamente da buon reazionario clericale anti-patriottico quale egli era, prese il piatto e lo scaraventò dalla finestra. Un cameriere si rivoltò contro lo stupido oltraggio, la lite divenne clamorosa e l’eco ne giunse fin sulla piazza. Ecco allora gruppi di popolani accorrere e assediare l’albergo, domandando la punizione del villano aristocratico. Invano il colonnello uscì sul balcone domandando perdono per il colpevole e cercando di calmare la folla. Le cose si sarebbero messe male, tanto che anche in altre località di Parma avvenivano urti fra ufficiali e popolani, se il giorno dopo non fosse giunto dal governo spaventato l’ordine al reggimento di liberare dalla sua presenza la generosa e patriottica città! Gli avvenimenti di Parma furono conosciuti con estrema rapidità in tutta Italia, sollevando l’indignazione di tutti i patrioti. Uno di costoro, l’ex ufficiale di cavalleria Antonio Riboli, che aveva combattuto eroicamente in Sicilia con Garibaldi, distinguendosi a Milazzo mandò subito una sfida a quegli ufficiali del reggimento Montebello che avevano preso parte al gesto di oltraggio. Il duca Sforza Cesarini, convinto di poter avere la meglio sul combattente popolano, accettò subito la sfida ed il duello ebbe luogo presso Alessandria; le cose però non andarono come l’aristocratico aveva creduto; egli infatti buscò vari colpi di sciabola e fu seriamente ferito. Gli subentrò otto giorni dopo, il tenente piemontese, conte San Martino d’Aglié e di Valprato, che fu anch’egli toccato gravemente al polso. I reazionari sparsero allora la voce che il Riboli era uno spadaccino di professione, scelto apposta per sterminare i poveri ufficiali monarchici. Sdegnato di questa nuova infamia il Riboli, quando si presentò il terzo avversario, capitano conte Canera di Salasco, notissimo come tiratore di pistola, lasciò a quest’ultimo la scelta dell’arma. Il Canera di Salasco scelse naturalmente la pistola, ma non se la cavò ugualmente perché il Riboli lo colpì con una pallottola, che attraversò il braccio e si ficcò nel petto, riducendolo in fin di vita. Il governo, che fino a quel momento era stato zitto, quando vide che le cose si mettevano male per i suoi, intervenne, minacciando d’arresto il Riboli, che dovette riparare in Svizzera. E così ebbe termine l’epidemia dei duelli.
Da Garibaldi buttato via, Il calendario del popolo, marzo 1951.
IL VESTITO DELL’AVVENIRE
Modello di vestito
che si allunga e si allarga
all’infinito.
Non perde bottoni,
non ragna sui calzoni,
esente da macchie e da strappi,
s’indossa all’asilo
e cresce un po’ per anno
senza perdere un filo.
I sarti si prevede
che lo sconsiglieranno.
Chiederanno al governo
qualche decreto drastico
contro il vestito elastico
che dura in eterno.
Con o senza permesso,
io lo invento lo stesso.
-Gianni Rodari-