Ci sono
pellicole, tanto colte quanto raffinate, di norma molto apprezzate negli
ambienti festivalieri, delle quali i pregi esaltati da un pubblico di
nicchia diventano paradossalmente difetti agli occhi di fruitori più
commerciali.E' questo il caso di "Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza" - vincitore della settantunesima edizione del festival di Venezia -, tragicommedia suddivisa in trentanove "quadri", che narra di due venditori di maschere e denti da vampiro. Andersson, regista che dimostra di possedere un intelletto fine, miscela il solito gusto nonsense scandinavo ad innovazioni linguistico/immaginifiche permesse da un'abile e ragionata decodifica dello strumento digitale. L'errare quasi strascicato dei protagonisti - i quali potrebbero essere benissimo personaggi creati dalla penna di Beckett - conduce a soffermarsi, in maniera neppure troppo seria - e la poca seriosità è stranamente l'elemento più inquietante -, sul martirio che l'uomo infligge a sé stesso nell'invenzione e nella reiterazione del quotidiano e, quindi, sull'impossibilita di trarne godimento. "Un piccione seduto su un ramo..." nasconde dietro vari elementi - farsa/dramma; apatia/agonia; morte/marketing - la fine annunciata e/o già avvenuta della nostra presunta contemporaneità. La stasi, dunque attesa, diventa illusione del divenire, dunque ricerca - ricerca che, quindi, è destinata a fallire -, andando a determinare la condizione attuale-eterna-senza scampo dell'umanità: En cherchant Godot. Antonio Romagnoli





