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UN PICCOLO CUORE SELVAGGIO - tratto da "Fifì e dintorni"

Da Gullclouds
La storia di oggi mi è stata trasmessa dalla carissima Daniela, autrice del blog "Voglio avere nove vite",  e chi si racconta è la piccola Fifì tanto dolce e selvaggia ... dal cuore proprio grande ....Ringrazio Daniela per questo messaggio d'amore che dedico a tutti i pelosetti del mondo e a chi li ama....  

Ho tre anni e vivo con due grandi figure gigantesche e con tre più piccole, ma sempre gigantesche per me.
Alcuni momenti della mia vita sono stati davvero emozionanti. Ricordo con rimpianto il giorno in cui ho aperto gli occhi e per la prima volta ho visto il volto della mia mamma, soffice e morbido e ho potuto dare un’immagine al profumo di lavanda che sentivo mescolato a quello dolce del latte. Il ronfare sordo mi riempiva sempre le orecchie e mi rimaneva l’eco della sua voce anche quando la sapevo lontana. Ridevo con lei, ridevo con i miei fratellini e ridevo con le api che ronzavano sui fiori blu mentre cercavo di afferrarli. Ridevo con il sole che mi scaldava e anche in faccia alla pioggia, mentre me ne stavo sotto la catasta di legno a guardarla cadere.Ricordo anche con orgoglio il mio primo topino catturato. Certo, alla fine mi è scappato, visto che abilmente s’era finto morto e credo che mi abbia anche riso dietro quando si è visto al sicuro fra le vigne, giacché non potevo inseguirlo, ma la mia mamma mi ha consolato leccandomi tutto, dal muso imbronciato alla punta della coda. Ma ero ugualmente felice, perché so che era fiera di me.
Altre volte sono stato tremendamente triste. Ad uno ad uno i miei fratellini se ne sono andati. Grandi figure gigantesche, con voci squillanti e mani un po’ rudi sono venute a prenderli. Loro piangevano, ma la mia mamma li rassicurava, guardandoli con occhi socchiusi e ronfando sempre. Dopo, a noi che eravamo rimasti, ci raccontava dei luoghi dove i miei fratellini sarebbero andati a vivere, ci descriveva l’amore che avrebbero ricevuto e della lunga vita che li aspettava e che presto anche noi saremmo stati presi. Con pazienza ci diceva che era questa la nostra vita. Ma io mi sentivo triste ugualmente e, quando alla fine ero rimasto solo io, mi chiedevo se i miei fratellini si sarebbero ricordati di me.La notte spiavo il cielo, fissavo la luna finché ne conoscevo a memoria le macchie grigie e lo splendore bianco dei suoi pallidi raggi e pensavo a loro. Non sempre la mia mamma era con me: spesso di notte si allontanava, sempre dopo avermi leccato e lisciato il pelo, ma non mi importava perché sapevo con assoluta certezza, che sarebbe tornata. Mi avrebbe svegliato strofinando il suo naso umido contro la mia faccia e il suo odore avrebbe saputo di erba bagnata e di terra e io mi sarei sentito in pace.Ma c’è stata quella mattina in cui sono diventato grande e la mia mamma non è tornata più.
Poi è venuto il giorno in cui sono venuti a prendere anche me.A dirla tutta non volevo affatto andare, non volevo lasciare la mia tana nella catasta di legno e il mio nascondiglio sotto la pianta di lavanda. Ma che potevo fare? Ero solo e l’unica cosa che sapevo – oltre che a catturare i topini di campagna – erano i racconti di mia madre su come quelle grandi figure gigantesche mi avrebbero voluto bene e si sarebbero prese cura di me. Mi sono lasciato prendere ed accarezzare e ho scoperto così che quelle carezze mi piacevano. Ho lasciato che mi portassero via ed ho scoperto che il luogo dove mi hanno portato è sicuro ed accogliente. E’ una tana grandissima, con un altro cielo sopra, più basso di quello della luna, ma questo cielo lo posso raggiungere quando mi arrampico su strani e morbidi tronchi colorati. Certo alle grandi figure gigantesche non fa piacere queste mie escursioni, ma ho imparato a farle quando non mi vedono. Ci sono anche strani muri trasparenti, in questa tana, attraverso i quali vedo l’erba ed il cielo. Non posso attraversali ovviamente, sono pur sempre dei muri!, ma scaldano come il sole e mi proteggono dalla pioggia e dal freddo. Se voglio uscire c’è una piccola porticina di legno della mia misura che posso spingere, me l’hanno mostrata il primo giorno in cui sono arrivato in questa strana tana. E’ così che ho capito che queste strane grandi figure gigantesche sono mie amiche, perché non mi hanno mai tolto la libertà di essere quello che sono. Mi coccolano e mi accarezzano anche se, poverine, non hanno la lingua ruvida e dolce della mia mamma, ma fanno del loro meglio. E’ piacevole vivere con loro, anche con quelle figure gigantesche più piccole, che a volte mi tirano la coda per afferrarmi ma che poi mi fanno dormire nelle loro cucce e dividono sempre qualcosina di buono da mangiare con me.
E’ uno strano mondo, questo delle figure gigantesche, pieno di suoni ed odori e io faccio del mio meglio per far capire loro che sono contento. Mi allungo accanto a loro, dimostro di prestare attenzione a quei fogli che spesso tengono aperti davanti alla loro faccia accoccolandomici sopra e strofino la testa contro le loro lunghe zampe fino a che mi afferrano e grattano fra le orecchie. Sono sempre indaffarate, girano, spostano, vanno su e giù e non capiscono quanto è bello lasciarsi scaldare dal sole, allungare tutte e quattro le zampe e ridere.Ma è la notte che non riesco a far vedere loro ed è un gran peccato! Si perdono la grande luna bianca e grigia, il cielo scuro e immenso e i misteri odorosi che vi si nascondono e che sono tutti da scoprire. Le grandi figure gigantesche dormono, mi accarezzano e poi mi mettono giù dal loro letto con voce impastata dal sonno. Sono grandi figure strane, fatte al contrario. E così, come faceva la mia mamma, gli do due leccate sui quei lunghi peli che si ritrovano sulla testa, strofino il mio naso contro il loro e vado via da solo.So che loro sanno che poi torno.
Daniela

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