Oggi, all’ufficio postale, un signore incastrato dietro di me in una coda chilometrica, tra lo sbuffare generale e i brontolii un po’ ringhiosi degli astanti, ha sussurrato “E’ Natale: dobbiamo essere tutti un po’ più buoni”, mentre procedevo (lentissimamente del resto) nella coda riflettevo tra me e me sul significato di quel “essere buoni”.
I bambini “devono” essere buoni altrimenti Babbo Natale (o Santa Lucia, o la Befana) porterà solo carbone (che se è quello di zucchero è buono comunque).
La bontà, però, non è una virtù da bambini e non è neppure il barile di appiccicosa melassa che ci avvolge in questi giorni, la bontà va coltivata giorno per giorno, non solo a Natale, e si può chiamare con tanti nomi: può essere l’attenzione agli altri, il rispetto per le esigenze altrui, il desiderio di pace e giustizia.
Saremo buoni (non solo a Natale, ma sempre) non se ci laveremo la coscienza con qualche regalo ben infiocchettato o con una donazione a questa o quella associazione di volontariato, ma se sapremo scorgere negli altri la tristezza, la solitudine, il disagio o anche solo il desiderio di un po’ di calore e se sapremo donare un sorriso, uno sguardo non distratto, un minuto perso per scambiare quattro parole, un gesto gentile nei confronti di chi ci circonda, un po’ di empatia, un po’ di compassione.
La bontà, in fondo, è una virtù semplice da praticare, basta poco, ma ci rende simili agli angeli.