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Ovviamente gli ho subito dato un'occhiata più da vicino per scoprire che il romanzo è del 1952 e che Boileau-Narcejac non è un autore dallo strano nome, bensì una coppia di scrittori francesi, Pierre Boileau e Thomas Narcejac, autori in coppia di numerosi romanzi gialli/noir tra il 1951 e il 1991 tra cui anche La donna che visse due volte (1954), reso celeberrimo dalla trasposizione cinematografica di Alfred Hitchcock. I diabolici è solo la loro seconda prova narrativa e dimostra una vivacità e un intensità non comuni. Insomma, alla fine mi è rimasto attaccato alle mani e me lo sono portato a casa.
Tecnicamente siamo più nella zona del noir che del giallo, giacché non c'è di mezzo un'indagine vera e propria e il punto di vista della storia è quello di chi il delitto lo compie, non di chi cerca di individuarne il responsabile, e questo lo rende forse uno tra gli esempi capostipiti del genere, per lo meno in ambito europeo. Il soggetto è quello del classico triangolo amoroso: lui, lei, l'altra, con annesso delitto e relative complicazioni, ma gli autori riescono a sviluppare il racconto in un modo che ancora oggi, benché ormai assai avvezzi a situazioni del genere, risulta interessante e dunque non soffre degli abbondanti sessant'anni che ha sulle spalle.
La cosa migliore è l'atmosfera, sospesa e rarefatta come un'ombra nella nebbia di un porto francese, capace di creare una rete di tensione fin dalle prime righe e mantenerla, serrata, fino al termine, grazie anche a un bel colpo di scena centrale la cui miccia resta ben celata fino alla sua esplosione e che stravolge completamente la prospettiva della seconda parte del libro facendolo in questo modo correre verso l'epilogo. Chi, come il sottoscritto, conosce piuttosto bene la narrativa di Simenon, vi ritroverà echi precisi. La semplicità della scrittura e del soggetto, l'ambientazione della Francia provinciale, la storia di un uomo improvvisamente travolto (quasi) suo malgrado dagli eventi e dalle scelte della vita, al punto che solo le biografie fanno pensare che siano stati più Boileau e Narcejac ad avere un debito nei confronti di Simenon che non il viceversa.
Eppure, almeno in questo caso, Boileau e Narcejac a mio avviso riescono a spingersi leggermente oltre rispetto al loro più illustre collega, in una storia ormai classica, ma che resta modernissima ed esemplare, per efferatezza, torbidità e passione.
L'incipit è un gioiellino:
«Fernand, ti supplico, smettila di camminare!»
Ravinel si fermò davanti alla finestra e scostò la tenda. La nebbia s'infittiva. Virava al giallo attorno ai lampioni che rischiaravano il molo, al verdastro sotto quelli a gas della strada. Ora si addensava in grosse volute, in pesanti masse di vapore, ora si trasformava in un pulviscolo acquoso, una pioggerellina sottile, fatta di minuscole gocce che brillavano come sospese. Attraverso i pohi squarci limpidi si intravedeva il castello di prua dello Smoelen con i suoi oblò illuminati. Quando Ravinel non si muoveva, sentiva arrivare, a ondate, la musica di un grammofono. Si capiva che era un grammofono perché ogni brano durava circa tre minuti. Poi c'era un breve momento di silenzio. Il tempo di girare il disco. E la musica ricominciava. Veniva dal cargo.
I diabolici, di Boileau-Narcejac (Celle qui n'était plus, 1952) - Adelphi, 2014 - 173 pagg. - 16,00€
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