Leggo queste righe a pag. 199, dopo essermi persa in quel volume arancione, macchiato di un disegno ritraente un omino nudo e sorrido alle battute di Pennac, simpatiche e travolgenti anche in una lingua che ignoro totalmente, e il suo libro attira da subito, in quanto specchio delle sensazioni corporee che tante volte ognuno di noi ha provato, ma che per fortuna sono riportate sulla carta da qualcun altro e da lui stesso lette di fronte a decine di persone. Pennac risponde con cortesia alle domande di Anna Maria Ferretti, affermando che noi uomini passiamo la vita a tenere sotto controllo le sorprese che ci riserva il corpo. Strano pensare a quanto coraggio ci sia voluto per decidere di consegnare un libro così imbarazzante e privato proprio ad una figlia femmina, eppure alla base di questo libro vi è la visione del corpo come contenitore di sensazioni di tutti i tipi, su cui alza la voce soltanto la paura, passione di Pennac, a cui egli ha dedicato gran parte dei suoi pensieri: la paura porta ad un alone di ignoranza e negatività, da contrastare mediante l’interesse e la curiosità che non possono non contraddistinguere un autore del calibro di Pennac. Lo scrittore francese risponde alle domande con grande simpatia e profondità, mantenendo sempre viva l’attenzione sulla linea rossa su cui cammina l’intervista, ossia il corpo e i suoi comportamenti, un corpo che secondo Daniel non deve essere né spettacolarizzato né visualizzato come strumento estetico: esso è semplicemente il nostro compagno più intimo e se ognuno di noi smettesse di specchiarsi negli altri, forse il concetto di corpo potrebbe finalmente cambiare.