Magazine Società
In questi giorni di febbrile attività in vista delle primarie di centrosinistra, oltre allo stress o ai confronti fra le diverse posizioni in campo, c'è sempre stato spazio di parlare delle cose di ogni giorno, dei problemi di lavoro di qualcuno o degli esami di diritto di altri, di mangiare insieme la torta portata da una "renziana" del gruppo, di fare colazione assieme alle 7.15 di mattina al nuovo bar cinese prima di andare ad aprire il seggio o di andare a mangiare una cosa dopo l'ennesima riunione; scherzando e ridendo insieme in barba al montare di polemiche fra "comitati" differenti, spesso più roba da giornale che fatti di consistenza reale.
Perché alla fine di questa avventura visssuta nell'ultimo mese, solo due parole resta nella memoria di molti di noi e dunque anche nella mia: la prima parola é "gruppo".
Gruppo perché abbiamo dimostrato ancora una volta - e soprattutto questa, in virtù di una vera competizione - di essere capaci di creare un dibattito senza che questo porti necessariamente ad una guerra fredda fra fazioni, proprio perché diventa sempre più chiaro a noi tutti il perché di una competizione e di un confronto interno, volto a trovare di volta in volta nuova linfa per il futuro, nuove sintesi e slancio verso nuove proposte.
La seconda parola é "normalità": normalità perché noi tutti, prima che militanti o simpatizzanti, siamo persone comuni, di quelle che hanno mille caratteristiche diverse e bisogni comuni, persone "normali" appunto. Normalità perché le primarie di ieri hanno decretato non solo una grande partecipazione di persone "normali" che abbiamo accolto, scambiandoci opinioni o semplicemente sorrisi; le primarie hanno sancito finalmente la vittoria di un candidato "normale", di chi ha messo davanti il contenuto alla forma, sfidando - a mio parere coraggiosamente - la storia italiana degli ultimi vent'anni in cui si é costruito, mattone dopo mattone, un modello di società "berlusconiana", fortemente basata sul leader superuomo, sui grandi contenitori molto comunicativi ma vuoti, un modello la cui superficialità, impattando con la più forte crisi dal dopoguerra ad oggi, ha generato un nichilismo ed un'avversione contro il "sistema" capaci di ritorcersi contro la società stessa.
E proprio perché facciamo parte di un popolo di gente comune e normale, sono contento oggi: c'é molta strada da fare ancora ma almeno con la sensazione che forse si può "guarire", che possiamo finalmente tornare ad occuparci della società parlando di noi, di ciò che siamo realmente, dei nostri difetti, delle nostre qualità e dei nostri problemi, dalla vita di tutti i giorni a chi fa politica rappresentando un popolo.
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