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La Riforma elettorale necessaria ad abolire un processo di voto incostituzionale è costantemente dilazionata, la classe politica pota costantemente avanti solo i propri interessi, c'è chi, con la scusa di abolire le tasse, non fa altro che estenderle cambiandone il nome, ogni giorno vanno in fumo migliaia di posti di lavoro, Pompei è in rovina, ma, finché le televisioni continuano a funzionare e gli stadi rimangono aperti almeno tre giorni alla settimana, tutto sarà accettato.
Intano, però ci si rincorre in un incessante can can online per manifestare il proprio sdegno.
Tutti possiamo, accedendo a questo o a quel sito, firmare petizioni, far girare un articolo, esprimere in coda il nostro disappunto, rispondere ai sondaggi, e, di per sé, questa è una grandissima risorsa della rete, che dovrebbe alimentare l'informazione e il confronto. Le informazioni sono a portata di mano: in ogni istante possiamo sapere con una buona approssimazione di certezza cosa stia accadendo nell'angolo più remoto del Paese e mobilitarci perché tutti i nostri contatti lo sappiano. Esprimere il proprio consenso o dissenso via internet è facile, fin troppo.
La rete e i social sono un mezzo importante di intervento, ma non sono il solo; allo stesso modo, non basta rispondere ad un sondaggio telefonico per sentire di aver fatto la propria parte e aver contribuito all'informazione, anche se chi lo commissiona vuole darci l'idea che sia determinante. Noi Italiani siamo bravissimi a manifestare la nostra volontà e le nostre opinioni tramite i media, siamo degli eccellenti Navigatori, ma i dati di affluenza alle urne dimostrano anno dopo anno che, quanto più aumentano le possibilità di informarsi e partecipare alle discussioni, tanto più cala la percentuale dei votanti.
C'è, dunque, una straordinaria partecipazione virtuale ai problemi d'Italia, ma nella realtà molti si ritraggono dal confronto e dalle uniche possibilità di espressione diretta.
Va detto che in questo Paese le possibilità di intervento a mezzo voto sono state orrendamente ridotte dall'attuale legge elettorale e da cavilli che noi comuni mortali possiamo solo immaginare quanto siano influenti, nonché dalla progressiva riaffermazione di un concetto che riecheggia l'assolutismo più viscido. «Dio me l'ha data, guai a chi me la tocca»: disse Napoleone, riferendosi alla corona d'Italia ricevuta a Milano nel 1805, stabilendo il proprio diritto a governare su tutto e su tutti; e, ormai, da diversi anni chi detiene un qualche potere in virtù di un consenso elettorale si sente impunito e impunibile, autorizzato a fare ciò che vuole su ogni fronte, al di fuori di qualsiasi patto elettorale e di sussulti di coscienza. Potrei citare decine di questi casi di ogni colore politico, i cui protagonisti hanno costantemente negato di aver fatto un uso personale della res publica, ma credo di palare alla consapevolezza di tutti voi.
La crisi contingente ha dato sempre più adito a umiliazioni, eppure, se non siamo direttamente toccati da un problema (ma spesso anche in quel caso, perché non ci rendiamo conto che il problema tocca anche noi o ci riguarderà in futuro), non ci muoviamo.
Mi domando perché un Popolo formato da milioni di persone impazienti di manifestare la propria opinione online sia ridotto ad un simile immobilismo. Mi sono data una risposta, che spero di confrontare con le vostre. Il proliferare di programmi tv di approfondimento e dibattito e l'estensione della fruizione dei Social Network ha forse causato un assopimento delle coscienze: siamo convinti di partecipare o di aver portato all'attenzione un problema solo perché abbiamo cliccato su un pollicione virtuale, perché il conduttore di quella specifica trasmissione ne parla o perché un sondaggio attribuisce una maggioranza alla nostra posizione. «Tutti lo sanno già» sembra dire l'Italiano «Perché impegnarmi di più?».
C.M.
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