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Qual è il primo libro che hai letto in assoluto?La domanda è più difficile di quello che sembra. Bisognerebbe capire cosa si intende qui per “libro”. Contano anche i libri illustrati, quelli che mi venivano immancabilmente regalati a Natale quando ero bambino? Non credo. O forse sì. Nel caso, uno dei miei primissimi libri si intitolava “La scoperta dei fossili”, tante illustrazioni ma anche tanto da leggere. Da piccolo infatti una delle mie fissazioni erano i dinosauri, sapevo praticamente tutto su di loro, grazie anche a quel libro. Il mio sogno di conseguenza era di poter diventare un giorno un paleontologo (ma se non ci fossi riuscito mi sarei fatto andare bene anche il lavoro dell’astronauta). Ovviamente alla fine il sogno è ben presto svanito e il destino mi ha portato in tutt’altra direzione. Tutto sommato forse mi è andata meglio così, visto che non mi sembra che sui giornali si trovino molte offerte di impiego per paleontologi professionisti. Per inciso, ho scoperto che La scoperta dei fossili, che ancora custodisco gelosamente, negli anni ha acquistato valore: su questo sito se ne trova per esempio una copia usata in vendita a €200! Diciamo che se le cose si dovessero mettere male, prima di vendere gli ori di famiglia potrei tentare con i libri.Il primo “vero” libro, inteso come narrativa, è un altro. Ho dovuto frugare tra le pigne di libri abbandonati a casa di mia madre per avere la certezza di identificarlo (un tempo ero solito scrivere a matita la data su tutti i miei libri, così oggi quell’abitudine mi torna utile). Il primo libro di narrativa, letto nel lontano 1978, dovrebbe essere “Padre Padrone” di Gavino Ledda, la biografia di un piccolo pastore, sullo sfondo di una Sardegna povera e tragica, che raggiunge l’emancipazione attraverso lo studio.Pubblicato da Feltrinelli nell'aprile 1975, il testo, autobiografico, racconta diciotto anni di storia di un ragazzo sardo, Gavino, costretto a lasciare la scuola del suo paese a soli 6 anni, e dopo appena due mesi di frequenza, per il volere del padre che lo porta con sé a governare il gregge. Il padre, figura imponente, sempre pronto a mettere in luce tutta la sua esperienza, si impone sui componenti della sua famiglia e soprattutto sul figlio per esercitare la propria autorità. E qui avviene lo scontro, perché Gavino, dopo la remissione dell'infanzia, sviluppa nell'adolescenza una ribellione segnata dalla propria volontà di ferro nel coltivare e far emergere una passione per lo studio che il padre non riuscirà mai a soffocare, e che porterà il protagonista alla decisione di entrare nell'esercito per il conseguimento di un titolo di studio, e poi alla piena consapevolezza della propria maturità. Alla fine, divenuto docente universitario, Gavino avrà vinto la sua battaglia, in nome di nuovi valori che si chiamano libertà, consapevolezza, dignità umana. Un libro fondamentale per la mia stessa formazione, visto che oltre ad essere un invito allo studio, è anche un modo per ricordare che non esistono nella vita difficoltà insuperabili. Sono ancora grato a quell’insegnante, ormai scomparsa, che mi diede quel libro da leggere quando ero bambino.
Hai mai fatto un sogno ispirato a un libro che hai letto? Se sì, racconta.
Un libro che mi ha ispirato un sogno? Non saprei. Difficile. Un libro del genere dovrebbe essere un libro la cui trama è talmente avvincente dal renderti addirittura difficile interromperne la lettura. Uno di questi, e sono quasi sicuro di essermelo sognato mentre lo leggevo, è Nei luoghi oscuri (Dark Places) di Gillian Flynn. L’ho recensito proprio qui un anno e mezzo fa, per cui mi sembra superfluo parlarne ancora.Diversi sono invece i miei sogni che risentono abbondantemente delle atmosfere Lovecraftiane, ma di questo non c’è da stupirsi, visto che lo scrittore di Providence traeva la sua ispirazione proprio dalle sue esperienze oniriche. Di questi sogni ho parlato qui diverso tempo fa.
Qual è la prima cosa che ti colpisce in un libro? La copertina, la trama o il titolo?Il titolo senza dubbio, e in seconda battuta il nome dell’autore. Credo che non ci sia niente di più difficile del saper scegliere un buon titolo per il proprio romanzo o per il proprio racconto. È ancora più difficile dello scrivere il romanzo o il racconto stesso. Un buon titolo può davvero fare la differenza e regalare tanta fortuna ad un libro altrimenti anonimo. Nella mia testa un buon titolo deve avere un grande potere evocativo, deve saper allo stesso tempo rivelare il contenuto e incuriosire.L’ultimo mio acquisto compulsivo è avvenuto proprio per l’esclusivo tramite di un titolo-calamita. Trattasi di Una scrittura femminile azzurro pallido (Eine blassblaue Frauenschrift) di Franz Werfel che probabilmente recensirò su questo blog tra non molto.Alcuni dei titoli più geniali della storia secondo me sono:•Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu) di Marcel Proust•Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit) di Louis-Ferdinand Cèline•Il Vecchio e il mare (The Old Man and the Sea) di Ernest Hemingway•I fiori del male (Les Fleurs du Mal) di Charles Baudelaire•Il delta di Venere (Delta of Venus) di Anaïs Nin•Cent’anni di solitudine (Cien años de soledad) di Gabriel García Márquez•Le affinità elettive (Die Wahlverwandtschaften) di Wolfgang Goethe•Il silenzio dell’acqua sotto il ghiaccio (Dauerhaftes Morgenrot) di Joseph Zoderer, recensito qui.
La traduzione naturalmente conta molto. Joseph Zoderer deve decisamente ringraziare il suo traduttore visto che il titolo originale avrebbe potuto più letteralmente tradursi come “L’alba rossa duratura”.Oriana Fallaci fu una delle autrici più geniali in tema di scelta del titolo: basti pensare a “Niente e così sia”, “Se il sole muore”, “Lettera a un bambino mai nato”, “Un uomo”, fino al postumo “Un cappello pieno di ciliegie”.Le copertine non mi interessano: sono solo soluzioni di marketing, spesso scelte in maniera del tutto casuale da qualcuno che il libro non ha nemmeno fatto lo sforzo di leggerlo. Apprezzo molto di più gli Adelphi, copertine semplici, non “urlate”, che non “violentano” in nessun modo l’opera dell’Autore. Della trama o del commento in quarta di copertina non ha nessun senso parlare, visto che la domanda chiede la prima cosa che ti colpisce in un libro.
Ti è mai capitato di piangere per la morte di un personaggio?Come no? Ho versato fiumi di lacrime per la morte della “Piccola vedetta lombarda” o per la morte di Ferruccio, protagonista di “Sangue romagnolo”. Ma non solo. Tutto il capolavoro di De Amicis è stata per me una fonte inesauribile di pianti, anche in quei racconti dove non c’è nessuno che muore. Avete presente “Il piccolo scrivano fiorentino”? E “Il piccolo patriota padovano”? E che dire de “L'infermiere di Tata”, de “Il tamburino sardo” e di tutti gli altri?
Qual è il tuo genere preferito?Chi visita questo blog solo saltuariamente, senza prestare particolare attenzione ai contenuti, darà forse per scontata la mia risposta. Niente di più sbagliato. Ammetto di aver letto tanto horror e tanta fantascienza, ma se devo eleggere un genere letterario come “mio preferito” la mia scelta ricade altrove. Preferisco leggere storie molto più vicine alla realtà, storie di persone, storie di vita, come per esempio quelle che ho elencato prima parlando di titoli azzeccati. Se mi cercate in libreria, è molto più probabile che mi sorprendiate a vagabondare tra i classici piuttosto che tra le novità.Considerato, poi, che da qualche anno a questa parte sono andato in fissa con il Giappone, non sarà per nulla improbabile trovare sul mio comodino un Haruki Murakami, un Natsume Sōseki, un Kōbo Abe o un Ryunosuke Akutagawa.
Hai mai incontrato uno scrittore?No.
Posta un'immagine che rappresenta cosa significa per te la letturaHo letto la maggior parte dei miei libri sui mezzi pubblici: tram, metropolitane e autobus extraurbani. Spesso immergendomi nella lettura al punto dal non accorgermi della mia fermata.
Proprio come questo signore qua sotto...
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