Per recuperare palla o per mettere in difficoltà un avversario non sempre serve entrare in scivolata: è questione di senso della posizione, a volte basta un passo indietro.
Andrea Pirlo, marzo 2005
Venti ragazzotti in mutandoni che corrono dietro a una palla. Più due, con dei guanti improponibili e magliette, solitamente, dai toni sgargianti. Chi non sa cos’è il calcio, la pensa così: un totale di ventidue persone che giocano con una palla.
Senza avere la pretesa di spiegare come stanno davvero le cose, dobbiamo però fare una distinzione, perché – è vero – tra queste ventidue persone ci saranno sempre alcuni giocatori che inseguono la palla, ma capita ogni tanto di trovare dei calciatori. I calciatori sono diversi dai giocatori per una ragione fondamentale: quando sono in campo non si guardano i piedi e la palla che rotola di fianco. I calciatori, quando sono in campo, non vedono il prato, davanti a loro, ma forme geometriche. Per un’innata capacità di astrazione – che né Ancelotti né Mourinho vi potranno mai insegnare, come invece si può insegnare un dribbling – i calciatori vedono materializzarsi linee tratteggiate che tracciano la traiettoria della palla ancora prima di calciarla, linee parallele che disegnano corridoi, frecce che indicano il movimento dei propri compagni, triangoli da costruire, con i propri compagni. Il calciatore vede tutto ciò in anticipo, mentre i giocatori seguono le sue istruzioni e il pubblico – che beneficia della prospettiva dall’alto – può solo rendersi conto di ciò quando è già successo. Avete presente quando Andrea Pirlo ha raccolto quella palla fuori dall’area e tutti noi, in preda al tifo sfrenato, gridavamo: “tira, tira, che aspetti? Tira!”? Ecco.
I calciatori sono anche un po’ così, di solito: a volte non troppo alti, a volte con poco fiato, a volte lenti, a volte troppo magri e a volte con qualche chilo di troppo. A volte sono una combinazione di queste caratteristiche. Potranno anche essere molto generosi, ma capirete bene che per un allenatore non è semplice far coesistere più di un calciatore che abbia queste peculiarità.
A me è capitato di studiare da calciatore, per qualche tempo, perché avevo tutte le carte in regola: non troppo alto, con poco fiato, una buona tendenza a mettere su chili, lento quanto basta.
Per qualche mese, Diego, ci siamo dati il cambio. Dopo averti visto giocare per tutti gli anni del settore giovanile, avevo - e ho - ancora tanto da imparare. Ti guardavo prima dalla tribuna e poi dalla panchina, e ti vedevo far girare la palla, a terra, proprio come ti dicono, ma come nessuno ti insegna.
A differenza di Mourinho e Ancelotti, ci insegnavi a diventare calciatori con il tuo esempio, sul campo e fuori. Con la passione per cui a qualunque ora potessi arrivare al campo, tu eri già lì, cosa che può capire solamente chi non può fare a meno dell’odore dell’erba inumidita, chi non aspetta altro che il momento di indossare le scarpette e fare un giro con le stringhe sotto alla suola, prima di fare il nodo.
Eri così: un semplice regista, il ruolo più difficile del mondo. “Un regista di cuore, un regista generoso”.
Ciao Diego, ci mancherai.
Stefano