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Un tweet al giorno, dal novembre 2012, da quando era sparito: “Free James Foley”. Liberatelo. E con il passare del tempo una nota: “missing since”, con il numero dei giorni trascorsi dal suo rapimento. Era partita una campagna globale, alla quale avevano aderito anche Faccia da reporter e SpazioReale. Nessuno sapeva se James fosse vivo o morto. Ora tutto il mondo sa che è stato assassinato. Decapitato davanti a una piccola telecamera (forse un cellulare, che ha filmato tutto) da un uomo mascherato e dall'accento londinese, che si rivolge al Presidente USA come potrebbe farlo la Merkel: dandogli del tu. E, come la Merkel probabilmente gli ha chiesto di non più spiare la Germania, l'uomo mascherato ha chiesto a Obama di sospendere i bombardamenti contro lo Stato Islamico, movimento che ha rivendicato l'assassinio di James Foley. E non soltanto. La storia, recente, è cronaca ed è nota a tutti: attacchi senza pietà sferrati contro i cristiani e altre minoranze religiose in Iraq, esecuzioni sommarie, scatenamento del libero arbitrio, un controllo sempre più brutale e radicato sul terreno della guerra in Siria. E non soltanto.
James era un free-lance: uno che va in giro per il mondo a cercare le storie in cui crede. In quella parte di mondo dove aveva viaggiato e lavorato, le storie in cui credere sono quelle che hanno come protagonisti gli innocenti, quelli che non imbracciano un fucile, quelli che non combattono, quelli che non ammazzano. Vengono, invece, ammazzati. Vale per tutte le altre zone del mondo dove si fa la guerra. Non so se ci avete prestato attenzione: c'è un'industria che non sta più nella pelle, ultimamente, anche in Europa. È l'industria degli armamenti. È in corso un ritorno di fiamma: c'è una gran voglia di fornire armi (qualcuno le dovrà comprare, anche se non saranno necessariamente i destinatari) per risolvere i problemi, dall'Ucraina (e stati confinanti) al Medio Oriente, in particolare Nord Iraq. Ci raccontano, come sempre, che è per difendere i civili. Ciascuno è libero di crederci, non mi addentro nelle questioni energetiche. Quando sento la parola “civili” uscire dalla bocca di quelli che hanno (e usano) le bombe, penso al lavoro che faceva James Foley: lui con i civili ci stava per davvero. In Siria, aveva visto la piega che il Medio Oriente sta prendendo, che ha ormai preso. È stato assassinato da un gruppo di criminali sponsorizzato, assecondato e armato (anche) da Stati che vantano perfette relazioni diplomatiche con le cancellerie occidentali; le quali, di fronte alla morte di James, si dicono “sconvolte”. James non è stato ucciso da una compagnia di sbandati: da una proiezione allucinata, invece, di correnti e di strategie espresse da Paesi con un seggio alle Nazioni Unite, le quali pochi giorni fa hanno annunciato ai quattro venti la volontà di colpire i finanziatori dei gruppi radicali islamici. Davvero? E a partire da quando, e da chi, se non è chiedere troppo? Potremmo fare i nomi, ma lascia andare per questa volta. Qualcosa sul terreno abbiamo visto.
Il sacrifico di James ci apre gli occhi e ne ricorda altri, quello del giornalista Daniel Pearl del WSJ, e ancora... Il suo sacrificio ci chiede di riflettere sulla sparizione del concetto di “civile”, di ciò che un “civile” è e rappresenta, dell'idea di “civile”. Le versioni ufficiali del mondo (ce ne sono un paio in circolazione, al massimo) non li prevedono più, i civili. Sono quelli che pagano, nelle guerre aperte o striscianti in corso. Sono loro i veri obiettivi. È una novità sulla quale vale la pena riflettere. Non puoi stare “in mezzo”, altrimenti detto “fra i piedi”: devi stare da una parte o dall'altra, devi schierarti, aderire a un programma, a una narrazione della realtà. Chi sta in mezzo, paga. Con la vita. Ci sono sempre un boia o un macellaio pronti a fornire la giustificazione per la tua morte. Un reporter sta in mezzo: tiene gli occhi spalancati. Oggi non va bene, uguale dove.
Faccia da reporter rende omaggio alla sua memoria e fa il suo nome: James Foley.