Fonte: Il Messaggero
In Italia guadagnano in media 1000 euro al mese: 1.250 gli uomini, 850 le donne. Ma quasi uno su due, se potesse, tornerebbe in Romania. E’ questo il risultato principale di un’indagine sui romeni che vivono e lavorano nel nostro paese, rileva l’Iref, il Centro di ricerca della Acli che l’ha appena sfornata. Per l’esattezza è il 49 per cento a desiderare il ritorno in patria, quota che sale al 71 per cento fra quanti in Romania hanno lasciato il coniuge. Ma ad ostacolare il rientro, osservano le Acli, c’è la convinzione che trovare lavoro in Romania sia ancora difficilissmo. Ad esprimerla è l’85 per cento del campione.
L’Iref ha intervistato con questionario 1200 lavoratori romeni residenti in cinque regioni italiane: Piemonte, Veneto, Friuli, Lazio e Puglia. Campione evidentemente rappresentativo dei 969 mila romeni residenti in Italia secondo l’Istat, pari al 21 per cento di tutti gli immigrati del nostro paese (ma altre fonti, come la Caritas, portano la cifra reale a 1 milione e 200 mila). L’indagine è stata effettuata nell’ambito del progetto italo-romeno chiamato Medit, volto a favorire il “rientro produttivo” dei lavoratori romeni.
La percentuale di occupati con regolare contratto è di poco inferiore al 60 per cento, e questo è un dato che deve far riflettere. Del restante 40 per cento, balza agli occhi un 19 per cento di disoccupati e un 18% che dichiara apertamente di lavorare in nero. Per quasi due donne su tre (64 per cento), la prima esperienza occupazionale è stata al servizio delle famiglie, mentre per quasi due uomini su tre (42 per cento) in edilizia.
Per quanto riguarda il rientro in Romania, i lavori adulti lo attuerebbero in cambio di stipendi mensili attorno ai 1.500 euro, per la verità piuttosto irrealistici per le condizioni economiche di quel paese. Gli under 35 si accontenterebbero di 1.200 euro, mentre i più anziani lo farebbero per meno di 1000 euro, e cioé almeno tre volte più di uno stipendio medio romeno. Questa aspirazione, a mio modo di vedere, inficia alquanto l’assunto delle Acli che metà dei lavoratori siano disposti a tornare. Lo farebbero, ma a stipendi superiori a quelli guadagnati in Italia. Il “rientro produttivo” in queste condizioni, mi sembra un’utopia. Anche se sappiamo che diverse famiglie hanno lasciato il nostro paese. Ecco perché mentre le Acli titolano la loro ricerca: “Un romeno su due vuole tornare in patria” noi più prudentemente preferiamo usare il condizionale.
Abbiamo sottoposto questo dubbio al parere di Marco Livia, direttore dell’Iref, l’istituto delle Acli che ha condotto la ricerca, e così ci ha risposto: «Il dato sugli stipendi auspicati per tornare in patria, va interpretato in un altro modo: i romeni interessati al rientro vogliono conservare lo stesso potere d’acquisto che avevano in Italia. E questo è poi emerso anche dai focus group che abbiamo attivato». Quanto alle retribuzioni attuali in questo paese, secondo Livia possiamo dire che «nel pubblico impiego siamo a livelli pari alla metà rispetto all’Italia, mentre nell’impiego privato sono un po’ più basse».
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