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Un sapore di ruggine e ossa di J. Audiard. Recensione

Creato il 23 agosto 2012 da Ognimaledettopost
Un sapore di ruggine e ossa di J. Audiard. Recensione Un sapore di ruggine e ossa (De rouille et d’os) di Jacques Audiard con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts, Bouli Lanners, Céline Sallette Drammatico, 120 min., Belgio, Francia, 2012
L’impressione è che al film di Audiard manchi qualcosa (stesso pensiero avuto anche dopo la visione del Profeta). Questo qualcosa non è certamente la tecnica registica. In Un sapore di ruggine e ossa la presenza della macchina da presa si avverte, ma è certamente un valore aggiunto. Qualche esempio: la luce del mare sfiora i volti dei protagonisti (Alì e Stephane) e anche a noi sembra di avvertirla; le mani ci fanno male quando Alì frantuma le sue contro una lastra di ghiaccio. Lastra di ghiaccio che rompe e taglia come un’affettatrice. Quest’ultima ci fa venire in mente The Wrestler (D. Aronofsky, 2008), e il paragone tra le due pellicole scatta inevitabile (anche in questo caso il protagonista è uno spiantato, vive per la lotta e prova a fare un lavoro onesto senza risultati, impara ad amare una donna senza tanto badare alla sua condizione e cerca di costruire un rapporto con la prole). È a questo punto che il film di Audiard comincia a mettere a nudo i suoi limiti.
Avevo definito The Wrestler come "film dell’epidermide", in quanto legato indissolubilmente alla corporeità del suo protagonista. Ecco, qui l’effetto viene raddoppiato (ci sono un uomo e una donna al centro dell’attenzione) e la dirompenza del tema trattato ne esce inevitabilmente dimezzata. In tutto questo la sceneggiatura mette a nudo alcune incoerenze che uno spettatore accorto non può non rilevare: prima tra tutte il fatto che una donna devastata emotivamente a causa della perdita delle gambe abbia il piglio di chiamare un buttafuori conosciuto una sera di mesi e mesi prima; poi il fatto che quello stesso buttafuori la scopi (perché di scopate si tratta) senza fare una piega; inoltre che lei diventi la referente per le scommesse legate alle lotte clandestine alle quali partecipa il suo lui; per ultimo il finale (che non svelo così nessuno si incazza). Senza contare che lo stile “dardenniano” stride un po’ con queste situazioni poco verosimili.
Certo, qualcuno invocherà la cara e vecchia “licenza poetica”. Ma io domando: “tout se tient” non è un’espressione francese?
Voto: 8 su 10

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