Ponessimo il federalismo sul piatto di un ipotetica bilancia, non ci sarebbe alcun dubbio che il piatto penderebbe dalla parte dei vantaggi.
Vi domanderete allora, perché un "no", secco per di più.
Semplice: perché ho parlato di ipotetica bilancia, non di bilancia specifica e, nello specifico, se mi perdonate il pessimo gioco di parole, della bilancia italiana.Già, perché i teorici del federalismo ci raccontano che delocalizzare i poteri verso entità decentrate, più vicine al cittadino, permetterebbe da una parte di raccogliere in modo migliore le esigenze della popolazione e garantirebbe, dall'altra, un vicendevole controllo tra cittadino stesso ed ente preposto, con conseguente diminuzione dell'evasione fiscale da una parte e maggior responsabilità di spesa dall'altra.Idilliaco; senonché, in questo Paese, delocalizzare significherebbe di fatto moltiplicare gli enti, quindi il personale, e detto "in soldoni", aumentare ancora la spesa pubblica. Non solo: moltiplicando gli enti si suddividerebbero le responsabilità a tal punto che non sarebbe possibile determinare a chi ascrivere la vera colpa di un disservizio. C'è di più, ovviamente. Come ho sempre sottolineato nei miei post, diciamo "politici", non è tanto l'idea che conta, quanto gli uomini che la devono rendere reale.Nel caso italiano, l'idea del federalismo evoca le bandiere verdi della Lega Nord, un accozzaglia di presuntuosi politicanti, che salvo qualche eccezione, faticano a esprimere concetti che siano qualche cosa di più qualificante che slogan elettorali, per altro di una rozzezza disarmante.Ho visto nascere il movimento leghista (ancora quando si chiamava Lega Lombarda) sin dai primi vagiti quando la voce gracchiante di Bossi veniva supportata, a fasi alterne, con un rapporto di amore-odio, dall'intelligenza di Miglio. Se ognuno di noi è la propria storia vediamo dunque cos'è la Lega.
Nasce come movimento razzista nel lontano 1982 al grido di "Roma ladrona" con tanto di cartelloni e "a casa i terroni" gridato nei vari comizi da esponenti e base. Da subito si cercano appigli storici per creare una qualche giustificazione delle strampalate teorie. Si parte con il simbolo, l'Alberto da Giussano, che troneggia in quel di Legnano. Una sorta di milite ignoto, giacché del venerato eroe della Compagnia della Morte non si ha traccia storica se non in uno scritto di un monaco domenicano al soldo dei Visconti, nato oltre un secolo dopo la battaglia di Legnano. Nessuna fonte diretta, dunque, più prosaicamente un po' di "sana" agiografia. Ma il tanto decantato Carroccio, divenuto simbolo durante il Rinascimento del nazionalismo italiano (non padano!) era presente sul campo di battaglia, non tanto per una lotta tra liberi comuni e Imperatore, bensì nel mezzo di una guerra fratricida tra comuni italiani (Novara, Como, Monza e Pavia erano fedeli all'Imperatore, Cremona e Lodi cambiarono bandiera all'ultimo), sobillati dal Papato o spinti dalle proprie mire di egemonia (Milano si era di fatto avocato il diritto di riscossione delle tasse imperiali), mentre la presenza del Barbarossa era determinata semplicemente dalla richiesta di aiuto dei comuni a lui fedeli.In sostanza scelsero il simbolo di un personaggio inventato che avrebbe, se fosse esistito, combattuto in una battaglia fratricida tra comuni del Nord!
Non è comunque solo questione di ministeri purtroppo: la Lega pur facendosi paladina della diminuzione, se non dell'annullamento degli sprechi è il partito che ha imposto il perdurare delle Province e la sua moltiplicazione.
Il motivo non è poi difficile da immaginare: c'è bisogno di piazzare i propri adepti, nella perversa logica di partito dove chi governa, governa elettori, non cittadini.
La verità è che essi non sono così diversi da coloro che volevano, nei proclami spazzare via.
Forse miseramente sono persino un poco peggio.